L'ego è il Distruttore, il principio di separazione e di disunione. È antitetico all'Amore. L'ego dà l'illusione di possedere la felicità, ma a contatto con esso non vi è che piacere effimero. L'ego dà l'illusione di possedere l'amore, ma questo sentimento accostandosi all'ego diventa nulla più di un attaccamento morboso. L'amore divino immortale appartiene all'anima; gli attaccamenti egoistici e condizionati appartengono all'ego. Liberarsi dalla prigione dell'ego falso (ahamkara) è il primo e più importante lavoro da fare da parte di un aspirante spiritualista, qualsiasi tradizione o sentiero religioso egli scelga di seguire. Liberandosi da ahamkara non si smarrisce la nostra identità, anzi essa può risorgere solo quando vengono meno le false identificazioni e maschere della personalità (sarvo upadhir vinir muktam). Finché rimaniamo avvinghiati all'ego falso e ci trastulliamo con esso, non ci sarà modo di conoscere né Dio né noi stessi. Il lavoro da fare è serio, impegnativo, ma anche magnifico e affascinante. Ci conduce a vedere noi stessi, gli altri e ogni cosa nel mondo con gli occhi dell'anima, percependoci come creature del Signore che operano per la Sua grazia e misericordia, in armonia con il Tutto. Nel Buddhismo l'ego è descritto come la causa del dolore e di tutti i mali; si combatte con la radicale rinuncia al mondo. Nelle Tradizioni mediorientali: Ebraismo, Cristianesimo, Islam, si combatte con la rinuncia, la preghiera e il digiuno. Nell'ordine francescano i tre voti perpetui sono: povertà, castità e obbedienza. Nel Vedanta e nel Samkhya l'ego è considerato come causa principale di avidya, di allontanamento da Dio, di caduta e degradazione. Esso è il più grande ostacolo alla realizzazione del Sé e della Felicità; è la forza che si oppone all'anima e a Dio. E' la principale causa dell'invidia e di caduta negli angeli e negli uomini: da Lucifero a Macbeth, sia nelle vicende antiche che in quelle moderne. A causa dell'ego Lucifero diventa Satana e Lord Macbeth diventa una persona degradata e ripugnante. In lui l'ego si manifesta nella forma della sua Eva, Lady Macbeth, che stimola ed incrementa le sue tendenze più negative. Il principio di Eva e di Adamo è in ciascuno di noi, così come in ciascuno di noi c'è l'angelo, il puro devoto che aspira alla liberazione di sé e degli altri. Se scegliamo di nutrire il serpente, vincerà il serpente. Se nutriamo l'angelo e la sua luminosa natura spirituale, vincerà l'angelo. In ognuno di noi ci sono Vitra e Indra, Lucifero e Michele. Il nostro destino dipende dalla scelta che facciamo, se verso l'uno o verso l'altro. Assieme all'orgoglio e alla superbia, il falso ego é la caratteristica principale degli asura. L'umiltà è l'atteggiamento opposto e, in parte, ne è anche l'antidoto. In una celebre metafora con cui Shri Caitanya Mahaprabhu ammaestra il suo principale discepolo, Shrila Rupa Gosvami, la Bhakti dell'aspirante spiritualista viene paragonata ad una tenera pianticella, bhakti lata bija, circondata dalle piante infestanti dell'ego che tendono ad estendersi e a distruggerla. Dobbiamo con ogni nostra forza prenderci cura e proteggere questa tenera pianticella della Bhakti praticando la sadhana (disciplina spirituale) in modo costante (abhyasa) e con distacco emotivo dal fenomenico (vairagya), sviluppando il puro desiderio di servizio e di offerta a Dio. L'offerta al Supremo di tutto ciò che si possiede è definita da Shri Caitanya come la più alta forma di rinuncia: yukta vairagya. La malapianta dell'ego è sradicata dalla pratica costante della sadhana bhakti con umiltà e in spirito di servizio. Nella vaidhi sadhana bhakti la centralità delle pratiche spirituali è costituita dall'Harinama japa o Harinama Sankirtana, l'implorazione di Dio attraverso i Santi Nomi: servire la Divinità invocando il Suo Nome, poiché Dio e il Suo Nome sono identici; il Nome stesso è manifestazione divina. Per invocare il Santo Nome con purezza, senza un atteggiamento offensivo, è richiesta umiltà. Quest'ultima deriva dalla consapevolezza della nostra natura di servitori di Dio; è l'umiltà della parte che si rapporta al Tutto, a Dio, alle Sue creature e al Suo creato. L'umiltà si sviluppa imparando a rispettare e a valorizzare tutti gli esseri, chiunque essi siano, a prescindere dal corpo che temporaneamente indossano. Solo allora, per misericordia divina, le offese che minacciano la nostra realizzazione spirituale cesseranno e sarà possibile cantare il Santo Nome in estasi.
15 aprile 2010
12 aprile 2010
'Sull'imitare o sul seguire le orme' di Shriman Matsyavatara Prabhu.
Dovremmo imitare i saggi, il maestro spirituale, gli acarya, i profeti, oppure seguirne le orme? L'imitazione o la simulazione di un comportamento è una copia, talvolta un inganno, cosa ben diversa dal seguire le orme di un modello elevato nel tentativo onesto e sincero di attivare in noi facoltà latenti ma ancora inespresse, dinamiche di crescita da cui poter trarre giovamento noi stessi praticando con umiltà, dando beneficio anche agli altri. Il maestro spirituale non deve essere imitato, ma seguito e preso a modello per applicarne creativamente gli insegnamenti nella propria vita. Se ci sforziamo umilmente di seguire le sue orme, costruiamo gradualmente in noi tutti i presupposti interiori affinché il suo modello diventi veramente il nostro, un'esperienza e un patrimonio che pian piano possiamo capitalizzare; viceversa, se lo imitiamo mancando di fare un lavoro profondo su noi stessi, abbiamo l'illusione di alzarci in volo ma poi scopriamo che non abbiamo le ali per volare. Solo chi segue le orme, pian piano si avvicina a chi queste orme le imprime. Dunque imitare alla lunga non porta nessun beneficio, anzi ci espone a tanti pericoli, mentre seguire le orme permette di sviluppare e far nostre le qualità che prendiamo a modello. Shrila Prabhupada diceva: “Se non sei umile, comportati come se tu fossi umile; se ancora non sei devoto, comportati come chi lo è”. “Agire come se” è una pratica che può aiutarci molto nel percorso spirituale: se io agisco come se fossi un devoto, mantenendo coscienza dei miei limiti e cercando di superarli, gradualmente divento un devoto. “Agire come se” permette il nostro progresso nella misura in cui pratichiamo senza orgoglio e senza superbia, non fingendo a noi stessi e agli altri di essere già arrivati. Se seguiamo le orme di chi è umile, possiamo anche noi gradualmente diventarlo, senza fare l'errore di mettere in piedi una finzione, ma sforzandoci sinceramente di ritrovare in noi quella elevata qualità dell'anima. In verità la virtù e la conoscenza risiedono già in noi; occorre realizzarne l'esistenza liberandoci dai condizionamenti. Socrate definiva questo insegnamento con il concetto di maieutica e spiegava: quel che io faccio è semplicemente mettere le persone nelle condizioni giuste per “partorire” il loro sapere. Ad un bambino possiamo insegnare a parlare solo perché ha già in sé la facoltà della parola, mentre non potremmo mai riuscirci con una scimmia, indipendentemente dai tanti sforzi che si potrebbero fare. Coltivando la conoscenza spirituale già intrinseca al nostro sé e praticandola nella nostra vita, possiamo risvegliare in noi la nostra natura superiore, l'unica che veramente ci appartiene. Se pensiamo che il bene, l'umiltà, la giustizia, la veridicità, la compassione, la tolleranza, la misericordia, l'amore siano qualità del nostro sé, praticando con fede questi valori sotto la guida di chi li vive coerentemente, possiamo gradualmente riscoprirli realizzando ciò che siamo. E lo realizziamo non soltanto a livello intellettuale, ma anche sperimentando il gusto superiore di quei valori, sulla forza di un'onda emotiva che ci collega stabilmente al nostro mondo interiore. Così facendo, predisponendoci nel migliore dei modi con la preghiera e con la meditazione, ricercando l'aiuto di Shri Shri Guru e Krishna, possiamo fare ottimi progressi, seppur ancora prigionieri in un corpo, poiché ci ricolleghiamo agli archetipi universali e a quell'armonia cosmica che garantiscono l'evoluzione e il benessere di tutte le creature e che ci permettono di trascendere gli angusti limiti dei condizionamenti, di spazio e tempo. Imitare significa privarsi di quel preziosissimo contributo personale che è la creatività. La conoscenza applicata senza creatività, ovvero emulata artificialmente, non porta frutti. Ecco perché non dovremmo imitare gli acarya ma seguirne le orme, acquisendo i loro insegnamenti e facendoli nostri, esprimendoli attraverso la nostra individualità e personalità, con il nostro peculiare sentire, con fede e purezza. Che quegli insegnamenti diventino la nostra voce, il nostro profumo, la nostra cifra esistenziale. Quando una persona imita non è se stessa; può anche recitare bene la sua parte ma in lei non vi saranno concreti e significativi cambiamenti una volta tolta la maschera. Se invece una persona s'impegna ad applicare gli insegnamenti ricevuti senza artificialità, esprimendo se stessa in ogni circostanza, senza mettere in scena nessun artifizio, anche se qualche volta dimostrasse di non capire o commettesse qualche errore, avrebbe comunque molta più possibilità di evolvere spiritualmente rispetto ad un perfetto imitatore. Gli insegnamenti del Guru ci debbono servire da orientamento; la bussola indica la meta ma sta a noi fare il percorso per raggiungerla. Per seguire le orme del maestro spirituale dobbiamo impegnarci utilizzando ogni nostra risorsa al fine di proseguire sul sentiero indicato. Il nostro percorso conduce allo stesso traguardo di chi abbiamo preso a modello, ma ci arriviamo con le nostre gambe, magari con le ali consumate ma siamo noi che giungiamo alla meta e che abbiamo fatto il nostro percorso. Nell'imitare, poiché non facciamo un vero lavoro su noi stessi, non proviamo soddisfazione, mentre nel seguire le orme si sperimenta una grande gioia e un continuo incremento della nostra gratitudine verso chi ci ha mostrato la via ed aiutato a percorrerla. Lungo il sentiero possiamo talvolta incontrare degli ostacoli, come un ruscello che si frappone e ci confonde perché le orme nell'acqua non si vedono: quella allora diventa l'occasione per interrogarci profondamente, per interiorizzare ancora di più gli insegnamenti ricevuti e capire come fare a proseguire, facendo uso di tutti i mezzi a nostra disposizione. Nel seguire le orme è richiesta dunque tutta la nostra partecipazione e questo ci permette di sviluppare gusto per la conoscenza e per la sua applicazione. Quando riusciamo a salire qualche gradino evolutivo, quella diventa una nostra conquista e la gratitudine verso chi ci ha ispirato ed educato nel percorso diventa sempre più grande. Tra imitare e seguire le orme c'è dunque una grande differenza, principalmente di gusto. Seguendo le orme possiamo imparare ad applicare gli insegnamenti con la nostra intelligenza e creatività, purificando e rinnovando continuamente la nostra motivazione per raggiungere equilibri sempre superiori. E se in questo percorso ci consumiamo le piume o se i nostri capelli diventano bianchi non c'è di che lamentarsi, anzi dobbiamo essere fieri che la nostra vita l'abbiamo spesa nel perseguire un ideale nobile. Non c'è altro scopo di valore in questo mondo. Chi sogna di essere felice con i piaceri dei sensi è come chi in un miraggio vede l'acqua nel deserto. Ma allora la nostra è una visione manichea, in cui la materia si contrappone allo spirito? No, la visione che ci hanno donato gli acarya integra la Terra al Cielo. Infatti, anche in questo mondo e con le cose di questo mondo possiamo sperimentare la felicità, ma essa è veramente tale solo nella misura in cui noi siamo collegati e colleghiamo tutto allo Spirito, il mondo al Suo Creatore, e così il creato e le creature. La beatitudine diventa possibile anche in questo mondo quando contempliamo e serviamo in ogni creatura Dio e Dio in ogni creatura.
'Sulla Valutazione e sul Giudizio' di Shriman Matsyavatara Prabhu.
Nella vita, ai fini della nostra evoluzione, abbiamo il dovere di analizzare quel che accade, di comprenderlo e farcene un'opinione. Analizzando i fatti possiamo anche comprendere eventuali errori compiuti da noi o dagli altri, traendone una lezione, senza che ciò determini una sfiducia in noi stessi o che faccia venir meno la nostra gratitudine nei confronti degli altri. In noi stessi, così come negli altri, non vi è solo luce o sola ombra, e la nostra intelligenza va utilizzata nel discernere questi due aspetti per capire in che modo possiamo correggerci e migliorarci. L'analisi, l'indagine, la valutazione dei fatti è un dovere per tutti, se vogliamo evolvere. Ma l'analisi e la valutazione non debbono implicare il giudizio stigmatizzante o la condanna altrui. Nel Vangelo secondo Matteo (cap. 7) si legge: “Non giudicate, per non essere giudicati; perché col giudizio con cui giudicate sarete giudicati, e con la misura con la quale misurate sarete misurati”. Da parte nostra c'è la necessità di capire, ma il giudizio spetta in ultima analisi soltanto a Dio. Infatti nell'antichità anche la giustizia terrena si amministrava in nome di Dio, perché è soltanto Lui che, colmo di compassione e benevolenza, conosce veramente i cuori e può emettere un giudizio finalizzato ad educare e a riportare le persone sulla retta via. Quando vediamo individui in conflitto tra loro, non dovremmo chiederci chi ha ragione, ma prima di tutto dovremmo impegnarci a capire che cosa è successo e qual è la cosa giusta da fare. Dobbiamo essere interessati a fare la cosa giusta, non a denunciare chi non la fa o ad acclamare chi la fa. L'anima ci sospinge verso l'alto, verso ideali nobili, verso la purezza. È la purezza la vera forza, non l'astuzia né la furbizia. Si possono leggere anche tutti gli Shastra e impararli a memoria, ma se la motivazione non è il desiderio di sempre maggiore purezza e concordia, non si salirà nessun gradino evolutivo. Impegniamoci sempre a verificare qual è il nostro livello di comprensione e di capacità di applicazione degli insegnamenti. Con i vaishnava, ad esempio, dovremmo comportarci con grande rispetto, stando vicino a loro come si sta vicino al fuoco; bisogna essere attenti a non commettere offese, altrimenti ci scottiamo. Le Scritture c’informano che stare con il maestro spirituale è un privilegio che tocca dopo numerose vite, così come poter servire le Divinità o studiare gli Shastra. Per recepire i loro insegnamenti occorre raccoglimento, offrire dei mantra, esprimere gratitudine attraverso preghiere scelte, se vogliamo entrare in contatto non solo con il libro ma con quel flusso di ispirazione divina che ci giunge quando il nostro cuore è pronto per accogliere l'infinita misericordia. Se non c'è un'attitudine umile e devota, se non ci accostiamo a queste Realtà con la consapevolezza dell'immenso privilegio che abbiamo, rischiamo di perdere il gusto per gli Shastra, per il Sat-sanga, per il Prasada e per altri incommensurabili doni divini. Abbiamo una grande fortuna ma la dilapidiamo. Impegniamoci a prendere consapevolezza della grandezza di quel che ci è stato offerto e della rarità di stare con persone che hanno dedicato la loro vita al raggiungimento dell'Amore per Creatore, creato e creature. Pratichiamo con fede e sincerità la purezza, la semplicità, l'Amore per Krishna e tutti gli esseri. Il vaishnava opera nel mondo per offrire a tutti l'opportunità di fare questo percorso; il bhakta non è colui che si rinchiude in una caverna o in un albero cavo come un misantropo, ma è attivo tra gli uomini nel sentimento della compassione per ispirare tutti ad armonizzarsi con l'universo e a fare l'esperienza della Vita prima della morte. Questa esperienza non la si può fare se non ci si risveglia spiritualmente, se si mantiene l'illusione di diventare felici nella materia con la materia. Grazie a Dio abbiamo ricevuto da Shrila Prabhupada e dagli acarya precedenti non solo insegnamenti teorici ma anche il loro esempio e modello di vita; abbiamo potuto vedere come si sono comportati di fronte agli applausi e agli insulti, nella salute e nella malattia, in momenti di abbondanza e ristrettezza. Dobbiamo essere grati al Signore perché in questa vita abbiamo tutti gli strumenti che ci servono per compiere il nostro viaggio spirituale e giungere a destinazione. Ci saranno ancora prove da superare, curve pericolose e insidie lungo il percorso? La risposta è sì, e non potrebbe essere altrimenti fintanto che viviamo in un mondo così mutevole. In questo viaggio dalla nascita alla morte abbiamo l'opportunità di apprendere tante lezioni per trasformare la nostra esistenza in senso evolutivo e raggiungere le vette della coscienza e della realizzazione nel sentimento puro dell'Amore. Gli acarya ci descrivono il traguardo parlandoci di una vita libera, d’immensa felicità, senza la costrizione del tempo e dello spazio e soprattutto senza la presenza della morte. Le loro parole e realizzazioni richiamano un'aspirazione che è nel cuore di ciascuno di noi: l'aspirazione alla piena consapevolezza, alla libertà, alla giustizia, all'immortalità e alla beatitudine. Nella misura in cui con fede ci dedichiamo alle pratiche spirituali, in proporzione a quanto ci abbandoniamo a Dio e intensamente desideriamo evolvere, potremo liberarci dalla rete di maya grazie all'intervento divino e realizzare l'Amore.
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