All’età di ventiquattro anni Caitanya Mahaprabhu abbandona definitivamente la vita secolare e gli impegni di famiglia. Coltissimo e già famoso insegnante, lascia scuola ed allievi per immergersi sempre più nell’esperienza mistica, vivendo un elevato livello di coscienza estatica. Interessato solo all’amore per Dio, Egli ritiene che lo strumento essenziale per realizzare questo scopo supremo sia l’invocazione costante, individuale o collettiva, in umiltà, del Nome divino di Krishna. Comincia allora ad esporre pubblicamente la Sua filosofia della Bhakti e, pur rispettoso delle dottrine teologiche di Ramanuja, di Madhva, di Nimbarka e di tutti gli altri grandi acarya vaishnava che Lo avevano preceduto, ne opera una sintesi di tali ampiezza e profondità da realizzare un formidabile strumento di risveglio spirituale per tutti. Sugli insegnamenti di Caitanya Mahaprabhu, grande Apostolo e Maestro della Bhakti nell’ambito della tradizione bhagavata, si fonda la Sampradaya nota come Gaudiya-vaishnava. La Sua opera, rivoluzionaria dai punti di vista sociale e religioso, in quanto offre agli individui di tutte le categorie sociali la possibilità di accedere alla realizzazione spirituale, convalida ed accresce la più antica tradizione vaishnava, la quale non ha mai proposto criteri di disuguaglianza ideologica, tantomeno in nome della religione. Come già detto, nella società religiosa hindu, guidata all’epoca dagli smarta brahmana, per lo più seguaci del Mimamsa, che desumevano la qualità di un individuo esclusivamente dallo status derivato dalla nascita (jati), il Movimento della Bhakti di Caitanya sostenne invece il principio fondamentale che il livello evolutivo di una persona deve essere valutato in base alle sue aspirazioni, tendenze ed esperienze, come testimoniato nelle Upanishad, nei Vedanta-sutra o Brahma-sutra (aforismi sul Brahman), nella Bhagavad-gita e in numerose altre opere della letteratura Shruti e Smriti. L’insegnamento di Caitanya, in quanto fondato su valori universali, oltre ad essere essenzialmente ecumenico possiede infinita potenzialità sia sul piano immanente che su quello trascendente. E’ l’elevato contenuto etico insito nella religione della Bhakti che dà impulso all’edificazione di una società strutturalmente giusta. L’atteggiamento criminale scaturisce invece nell’uomo condizionato dalla sua totalizzante, indiscriminata estroversione, dal suo rapporto egoico con la prakriti e quindi dall’influenza contaminante dei guna che da essa promanano. E’ così che l’individuo finisce per identificarsi con una serie di riflessi distorti del proprio sé, sviluppando un rapporto errato e conflittuale con se stesso e con l’ambiente circostante. Si crea in tal modo quel fenomeno in cui il soggetto, per essersi sporto troppo “all’esterno”, viene assorbito dall’oggetto che lo ipnotizza, lo vittimizza, lo fa suo. Si originano da questa situazione gli atti comunemente noti come criminosi che, dal più lieve al più orribile, possono essere identificati come frutti velenosi di ahamkara. Nell’orientamento psicologicamente ambivalente della Bhakti, la funzione estroversa e quella introversa si armonizzano: la prima produce la pienezza delle opere e la seconda la ricchezza della conoscenza e della consapevolezza interiore. Nell’inconscio di chi pratica la Bhakti hanno luogo processi creativi sufficienti per fornire alla volontà la capacità di conciliare quegli opposti che, sul piano cosciente, modificano in senso positivo la visione del mondo. Da ciò scaturisce quella forza viva della fantasia creatrice e liberatoria che rende armonico il comportamento del devoto nei suoi rapporti con se stesso, col mondo e con Dio.
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