Secondo l’Ayurveda, l’aria (vayu) e lo spazio (akasha) sono due caratteristiche fondamentali della mente. Lo spazio (akasha) è necessario per l’apertura mentale, l’aria (vayu) per il movimento; la mente è infatti molto mobile, molto rapida. In questo senso potremmo paragonarla al cielo, un cielo spesso coperto di nubi, che in questa metafora rappresentano i dubbi, le incertezze, gli insuccessi accumulati dall’individuo. In una condizione di conflittualità interiore, di incoerenza tra le aspirazioni profonde dell’anima e le richieste perentorie dei sensi, la mente si muove rapidamente, bruscamente, oscillando di continuo da un oggetto all’altro, incapace di finalizzarsi in una direzione precisa; il movimento, realtà che ha un suo senso positivo, scade così al livello patologico di mera motilità, ed è di conseguenza causa di esperienze dolorose. Questo rimbalzare incontrollato, senza coerenza, senza progetto, è ben visibile negli attacchi di ansia, di panico, di angoscia. La perdita di speranza nella capacità di superare i propri limiti, lo scoraggiamento, sono esperienze che chiudono il cielo mentale. La persona che vive in un ambiente ristretto, fisico o psichico che sia, è infatti generalmente depressa. Sul piano clinico le depressioni sono modificazioni del campo mentale in senso restrittivo, causate da sbandamenti emotivi che legano sempre più ad identificazioni erronee ed effimere, principale motivo di incatenamento al ciclo di nascite e morti (samsara). La natura dell’anima invece è felicità, beatitudine, senza sbalzi né discontinuità, per questo non è soggetta né a depressioni né a eccitazioni, entrambi sintomi di inappagamento profondo e di mancanza di armonia nell’individuo. L’aria, l’acqua, il cibo, sono elementi a noi essenziali perché è di questi elementi che il nostro corpo è costituito. Siamo incapsulati negli elementi, dice la Bhagavad-gita, XV.7: L’essere vivente nel mondo della vita condizionata è un mio frammento eterno, ma lotta contro i sensi e la mente situati [generati] nella prakriti. Eppure esiste una via per liberarsi, per sfuggire ai condizionamenti di questa esistenza costretta, poiché anche gli elementi materiali, ben descritti nella filosofia Samkhya, originariamente non sono forza caotica, bensì energia di matrice divina. Ciò è ben spiegato nella letteratura upanishadica, che descrive in più passi, con un linguaggio simbolico e suggestivo, come nell’uomo e in ogni creatura siano presenti quegli stessi elementi che costituiscono l’universo, e come questi elementi siano di origine divina, ciascuno addirittura presieduto da una particolare manifestazione del Divino: "Le divinità, una volta generate, si precipitarono nel grande oceano [della vita] …[il Creatore] portò loro un uomo […] quindi disse loro: "Entrate ognuna nella sua dimora!". Il fuoco, fattosi parola, penetrò nella bocca; il vento, fattosi respiro, penetrò nelle narici, il sole, fattosi vista, penetrò negli occhi; i punti cardinali, fattisi udito, penetrarono nelle orecchie; le erbe e le piante, fattesi peli, penetrarono nella pelle; la luna, fattasi pensiero, penetrò nel cuore; la morte, fattasi apana, penetrò nell’ombelico; le acque, fattesi seme, penetrarono nel membro virile…". Nelle persone più dotate di visione, più libere dagli attaccamenti e dai condizionamenti, movimento e rapidità della mente si associano alla coerenza tra pensiero, parola e azione. C’è un piano, un progetto cui partecipano anche gli elementi di questa cosiddetta prigione, visibile nell’ordine che mantiene ogni componente di questa dimensione di realtà. L’evasione è a portata di mano se il disegno divino della realtà che ci circonda viene svelato; ciò può avvenire soltanto grazie allo sviluppo della consapevolezza e ad una visione elevata, che conducono verso la liberazione della Vita dalla crisalide della materia. Tale liberazione del sé spirituale, atman, viene tradizionalmente definita con il termine moksha, che corrisponde al kaivalya degli Yoga-sutra. La vista e il respiro sono entrambi collegati alla mente; esiste una visualizzazione interiore più elevata, ma c’è anche una visualizzazione esteriore che aiuta quella interiore. La visione di bei paesaggi naturali, ad esempio, aiuta ad espandere la mente, soprattutto se accompagnata da un impegno costante nella ricerca del sé e dalla compagnia di persone evolute. Simili visioni hanno da sempre costituito una componente importante nella vita di molti spiritualisti, soprattutto yogi, in quanto i luoghi di bellezza naturale agevolano l’ espandersi della mente e i moti lieti dell’animo. Visioni, attività e compagnie profondamente oneste e sincere portano alla guarigione, anche da gravi disturbi della personalità. I rimedi allopatici hanno effetti limitati e dovrebbero essere utilizzati solo in casi estremi, perché la cura funziona meglio se è attiva, vale a dire se la persona viene stimolata a lavorare su di sé, sugli atteggiamenti e sulle abitudini scorrette che hanno generato la malattia, a reimpostare consapevolmente la propria vita. Questo atteggiamento crea le giuste condizioni per dialogare, comprendere verità e trovare soluzioni ai problemi. Molte delle problematiche e delle cosiddette necessità di cui facciamo esperienza nella nostra società sono inesistenti, fantomatiche, ma le influenze della collettività, della magnetizzante comunicazione dei media, delle cattive compagnie, le rendono più reali di quanto non siano. E’ proprio per tentare di soddisfare bisogni irreali e quindi artificiali che gli individui affrontano molte frustrazioni e sofferenze. La fede (nella cura, in sé stessi, nel prossimo, nell’ordine naturale che assicura armonia al creato, nel Divino) rafforza la guarigione. Per sviluppare fede è necessario conoscere la scienza della vita, frequentare persone che siano ben indirizzate sul sentiero della guarigione ed ascoltare da loro esperienze di una differente dimensione di realtà. La guarigione dai disturbi della personalità può avvenire più facilmente in un’ottica olistica, che armonizzi i piani fisico, psicologico, sociale, economico e relazionale con la visione spirituale. La qualità fondamentale da sviluppare è l’equilibrio, strumento di superamento degli opposti, quindi di trascendenza. Nella Bhagavad-gita, Krishna parla dei condizionamenti provocati dalle tre influenze della natura materiale: ignoranza, passione e virtù. Le persone non vengono condizionate soltanto da tamas, che produce inerzia e paralizza la coscienza, né solo da rajas, che genera l’azione caotica e agitata ma, paradossalmente, anche da sattva; questa situazione si manifesta nell’attaccamento al senso di benessere che, se non trasceso e quindi portato al suo stato di effettiva purezza attraverso la bhakti , può anch’esso risultare un ostacolo sulla via della perfezione. Brutto e bello, attrazione (raga) e repulsione (dvesha) sono coppie di opposti (dvandva), cause di condizionamento e infine di dolore. L’obiettivo della realizzazione spirituale è quello di superare ogni coppia di opposti, per poter contemplare anche la bellezza e il benessere in maniera distaccata. Il piacere, se incanalato verso la realizzazione spirituale, non costituisce una diminuzione della disciplina (sadhana) o della rigorosa coerenza (tapas) anzi, contribuisce ad espandere la coscienza. Nel decimo capitolo della Bhagavad-gita il Divino viene descritto anche in termini di bellezze naturali; Krishna afferma, ad esempio, di essere lo splendore del sole e della luna, ed anche l’Himalaya, oppure il mare . Più che indicazioni geografico-culturali, si tratta di categorie della nostra esperienza nel mondo sensibile che si impongono per presenza e magnificenza, rappresentando dunque l’aspetto eccelso del fenomenico. Ecco allora che il Divino assume caratteristiche di onnipresenza, non in senso panteistico, quanto piuttosto come radice unica e spirituale di ogni manifestazione. Contemplare paesaggi naturali con un elevato livello di coscienza equivale ad ammirare ed apprezzare ovunque la potenza e la magnificenza di Dio, interno ed esterno ad ogni realtà oggettiva.
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