12 luglio 2010

Racconti in diretta: Realizzazioni, esperienze, riflessioni spirituali.

Bhaktivedanta Ashrama, 1 Luglio 2010.
Stamani Shrila Gurudeva ha tenuto una bellissima riflessione sull'importanza del canto dei Santi Nomi. Sempre di più realizziamo che il Santo Nome è il Tesoro. E' il segreto per diventare Felici.

“Lo stadio più elevato nel canto del Mahamantra si ha quando la coscienza s'immerge completamente nei giochi divini di Radha e Krishna. Per giungere a questo obiettivo si debbono verificare degli stadi intermedi, tra i quali il rimanere fissi nella concentrazione sul canto e sull'ascolto dei Santi Nomi. Attraverso tale concentrazione prolungata si perviene progressivamente ad uno stato meditativo; di pari passo, il mondo esteriore comincia a dileguarsi e la coscienza si sottrae alla forza illudente degli oggetti dei sensi. La serenità, la soddisfazione, la letizia, la gioia incrementano e diventano una presenza costante nella nostra vita. Entriamo così in quella dimensione dell'essere in cui regna la pace, in cui le turbolenze del mondo rappresentate dalle dualità che generano continui sbalzi d'umore si attenuano fino a diventare nulle. Questo loro esaurirsi non spegne la gioia, ma fa esattamente il contrario: permette alla gioia e all'appagamento interiore di manifestarsi appieno, in tutta la loro forza e con tutti i benefici conseguenti. Alla coscienza si rivelano i rasa, i sentimenti dell'anima, che non possono essere percepiti fintanto che la persona è travolta dalle dualità della vita. Queste dualità entrano e prorompono nella nostra coscienza quando noi diamo loro attenzione e importanza. Tale spiegazione può apparire semplice, ma in effetti la ragione di tutto quel che accade è fondata su di una semplice verità che non è semplicioneria, ma è una comprensione chiara della realtà delle cose. Non è un asura, un perfido, un malvagio che inietta nella nostra coscienza elementi di disturbo: siamo noi che li introduciamo, seppur spesso inconsapevolmente. Ognuno alla fine è causa del proprio male, è l'aguzzino di se stesso, è l'unico responsabile del veleno che ha lasciato penetrare nella propria coscienza. Detto ciò, è altrettanto vero che la ricchezza interiore che ciascuno di noi possiede è stata acquisita per merito proprio, quando abbiamo scelto di collegarci alla nostra essenza spirituale e a Dio che è l'Origine di ogni Bene e Fonte eterna di Grazia e Misericordia. Se nella nostra coscienza ci sono elementi luminosi, siamo noi che li abbiamo introdotti posando su di essi la nostra attenzione e portandoli così nel nostro mondo interiore, volgendoci sempre più verso l'eterno, verso il mondo non duale. Nelle sue opere Platone parla della tensione tra l'anima e il corpo: l'anima vuole liberarsi dal corpo, ma il corpo la trattiene attraverso la psiche. Anche Krishna nella Bhagavad-gita XV.7 spiega che i condizionamenti si annidano nella psiche ed è dunque nella psiche che dobbiamo ricercare le cause dei nostri disturbi della personalità, quelli che ci fanno apparire attraenti le dualità del mondo e che addirittura ci fanno credere che l'illusione sia la realtà e che possiamo trovare nell'illusione la soluzione ai nostri problemi e la gioia cui aspiriamo. Il sogno di diventare felici con gli oggetti dei sensi concepiti come fini a se stessi, vincola sempre di più il corpo all'anima, moltiplica i condizionamenti e in questo modo la persona inganna se stessa credendo che la felicità sia da ricercarsi fuori da sé. Così passa e si esaurisce la vita cercando di raggiungere quel pomo più alto sull'albero dei desideri che riteniamo sia il più dolce ma, una volta raggiunto, colto e mangiato, si scopre subito dopo i primi morsi che non ha gusto e in un colpo si realizza l'inutilità di tutti gli sforzi fino a quel momento compiuti. Anche chi nel mondo ha raggiunto posizioni elevate, prestigio, denaro, potere o quant'altro, alla fine non trova in ciò una soddisfazione reale e duratura. Similmente, anche chi bevesse non solo un bicchiere ma una bottiglia intera d'acqua di mare, non potrebbe certo togliersi la sete, anzi più beve quell'acqua più la sete aumenta. Dobbiamo rifuggire le vanità e cercare ciò che davvero può darci la gioia. I materialisti sono innamorati dell'aspetto immanente di Dio ma, poiché non lo ricollegano alla sua Origine, rimangono condizionati dalle energie della Natura e perdono la possibilità di beneficiarne senza rimanerne vincolati. Gli spiritualisti, invece, sono affascinati dall'aspetto trascendente di Dio, apprezzando al contempo anche la sua manifestazione immanente ma, al contrario dei primi, avvicinandola non per godimento egoistico ma con uno spirito di servizio verso il Creatore che l'ha generata. Chi non concupisce la materia ma la considera strumento che può rivelarsi utile alla propria evoluzione, risulta immune dal condizionamento generato dagli oggetti dei sensi, i quali perdono tutta la loro potenzialità negativa. Shrila Prabhupada ci spiega questo concetto con il seguente paragone: “E' come essere morsicati da un serpente senza denti; non ci arrecherà danno perché gli occorrono i denti per iniettare il veleno. Così il devoto che opera al servizio di Dio e che desidera partecipare al lila divino, anche se vive nella prigione del corpo è comunque libero dai condizionamenti della Natura ed è per questo che nelle Scritture viene definito jivan mukta: liberato in vita. Egli utilizza il corpo come un prezioso strumento con il quale fare esperienze evolutive e aiutare tante persone a ricongiungersi alla loro essenza spirituale e a Dio. Per giungere a questo elevato stadio, non c'è pratica più efficace della meditazione sui Nomi divini, che diventa particolarmente potente se compiuta nelle ore di Brahma-muhurta, dalle 4 alle 8 del mattino, e che ci offre l'opportunità di realizzare la dimensione spirituale. Questo risultato ovviamente non è conseguito da tutti, benché tutti abbiano la possibilità di ottenerlo. Quel che ostacola tale conseguimento sono i condizionamenti che sono penetrati nella coscienza. É per questo che è così fondamentale, come spiega Shri Caitanya Mahaprabhu, la pratica di ceto darpana marjanam, la pulizia dello specchio della mente primariamente attraverso l'ascolto dei sadhu che rafforzano in noi la consapevolezza dell'importanza della meditazione. Per favorire la concentrazione e la pratica meditativa, dobbiamo evitare di cedere alle distrazioni. L'osservanza dei quattro principi regolatori è indispensabile per evitare quelle più virulente. Lo scopo è arrivare a quel livello di concentrazione sull'ascolto dei Nomi divini che non sia meccanico ma sentito nel profondo: è a quel punto che diventa possibile una rapida purificazione che previene sbalzi di umore e abbassamenti di coscienza e che fa pervenire ad una consapevolezza illuminata. Allora il viaggio diventa veramente affascinante, gioioso, estatico, ma a questa meta si perviene attraverso stadi intermedi di illuminazione progressiva. Uno dei pericoli più grandi nella meditazione sono i colpi di sonno, ovvero quello stato di coscienza addormentato, assopito, effetto di tamo-guna, in cui si non è lucidi né tantomeno pienamente consapevoli di quello che si sta facendo. L'effetto di rajas non è meno deleterio poiché produce vikshipta, la distrazione, che è l'esatto contrario della meditazione. Da innumerevoli vite la nostra coscienza è abituata ad accogliere distrattamente tutto quel che le perviene attraverso i sensi, tanto che questo stato confusionale non appare ai più come qualcosa da evitare ma come la normalità. Gli Acarya e i testi sacri ci permettono di prendere consapevolezza di questa cognizione errata e ci offrono strumenti per migliorare il nostro stato coscienziale. Spetta a noi metterli in pratica. Il canto dei Nomi divini durante le ore di Brahma muhurta, cercando di concentrare la coscienza sull'ascolto di queste potenti vibrazioni spirituali, porta innumerevoli benefici anche a chi, dovendo combattere con una mente selvaggia, non è ancora capace di meditare sulle qualità del Signore, sulle Sue avventure divine (lila), sulle Sue divine forme (rupa). I cosiddetti benpensanti in servizio permanente alla mera razionalità, potrebbero biasimare tale esercizio ritenendolo una forzatura, ma tale operazione di contenimento è indispensabile per riscoprire la nostra natura originaria, il volto del sé oltre le maschere dell'ego. Quando si diventa poi signori della propria dimora psichica non ci sarà più necessità di contrastare le spinte della mente ribelle, poiché si sarà raggiunta la pace interiore, che non corrisponde alla morte della psiche ma all'ottimo funzionamento e all'armonizzazione di quest'ultima con le funzioni naturali dell'anima. Chi non ha una buona sadhana, sarà costretto a rimanere ad un livello di meditazione superficiale e la sua coscienza continuerà a riempirsi di elementi inidonei alla realizzazione spirituale: è per questo motivo che la sadhana è una condizione sine qua non per giungere alla realizzazione spirituale. Attenzione: non cadete nella trappola di bruciare le tappe e di credervi prima del tempo liberati o spontaneamente innamorati di Dio, perché i contenuti condizionanti ancora presenti sul fondo della coscienza potrebbero risultare letali. Le Scritture ci spiegano l'importanza di non trascurare mai la sadhana che è un dono divino che abbiamo ricevuto per misericordia degli Acarya. E nell'ambito della sadhana il canto dei santi Nomi è prioritario. Prima di dedicarsi alle responsabilità sociali di cui ci si è fatti carico o ai doveri nella sacra seva, è essenziale iniziare la giornata con Harinama japa. Nel servizio devozionale tutto è Vaikuntha, ma nell'era di Kali la pratica del canto del santo Nome è superiore rispetto ad ogni altro strumento di purificazione della coscienza. Praticatela cercando di prestare attenzione alla qualità del vostro canto, oltre che impegnandovi per un tempo sufficientemente lungo. Osservate attentamente quel che avviene e quel che risuona dentro di voi, invocate la Misericordia divina e sempre di più vi scoprirete responsabili e capaci di migliorare il vostro stato di coscienza”.

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