14 dicembre 2009

Racconti in diretta: Realizzazioni, esperienze, riflessioni spirituali.

Napoli, 11 Dicembre 2009.
Andiamo a visitare con Shrila Gurudeva il museo nazionale di Capodimonte, all'interno dell'omonima Reggia costruita verso la metà del diciottesimo secolo per Carlo di Borbone, re di Napoli.All'interno sono ospitate le Gallerie Nazionali di Capodimonte, una delle più importanti pinacoteche d'Italia. Vi sono custodite opere straordinarie di Raffaello, Caravaggio, Simone Martini, Masaccio, Tiziano e altri grandi che hanno scritto alcune pagine tra le più importanti della storia dell'arte. Con Shrila Gurudeva anche l'arte e la storia diventano strumento di riflessione sul senso della vita, per rafforzare il desiderio di ricollegare l'umano al Divino. In alcuni dipinti di Jackes De Backer (1570) vediamo raffigurate l'invidia, la superbia, l'accidia e la lussuria. Una donna che ha serpenti al posto dei capelli e che mangia alla gente il cuore: è l'invidia. La superbia schiaccia, fagocita, calpesta oggetti e persone. Il degrado impera nell'accidia: una rete che avvolge, chiude, paralizza. Nella lussuria trionfa il vizio che travolge ogni virtù: qui l'illusione esplode, s'impone, fa perdere il senso, la ragione. I commenti di Shrila Gurudeva illuminano la nostra comprensione, ci insegnano ad utilizzare il dizionario del mondo spirituale per leggere e capire questo mondo, le opere degli uomini, i fatti della storia. Nella “Parabola dei Ciechi” di Peter Bruegel vediamo raffigurato un concetto che Shrila Prabhupada esprime nei suoi libri: uomini che seguono false guide sono come ciechi che si lasciano guidare da altri ciechi; la loro fine è cadere a terra, piegati, i volti lacerati dal dolore. Nei grandi dipinti di Luca Giordano vediamo scene buie di degradazione e visioni illuminate di saggezza, speranza, liberazione. L'eterno dilemma dell'essere umano è raffigurato nel dipinto del Carraccio: “Ercole al Bivio”. La virtù esorta Ercole ad andare verso l'alto e gli offre come guida i testi sacri, mentre la lussuria lo chiama verso il basso e gli propone inganni, maschere da indossare. Originariamente anche l'arte, come la religione, la filosofia e la scienza, era considerata una via per realizzare la verità oltre l'illusione, l'essenza oltre le forme, la bellezza che è celata nel cuore. Shrila Gurudeva ci rivela la vera Arte, ci insegna a rendere ogni esperienza strumento di evoluzione.

Napoli, 12 Dicembre 2009.
Inizia il Seminario “Yoga come Arte di Vivere”. E' una ricchezza portare questo tema tra la gente che soffre, che si ammala, che si sforza per mantenere buone relazioni, che si sente disorientata e, non sapendo, rincorre illusioni. L'arte dello Yoga è l'arte di vivere, è la via per giungere alla meta, per realizzare gli obiettivi che ci siamo prefissi: la libertà, la felicità, l'amore. Quante persone arrancano nel cammino della vita. L'esistenza incarnata è costellata di imprevisti e crisi. Queste crisi non sono disgrazie: sono occasioni di crescita se solo le sappiamo affrontare con attitudine costruttiva. Shrila Gurudeva offre insegnamenti pratici su come far luce nel nostro archivio segreto: l'inconscio, il karmashaya, dove viene registrata ogni nostra esperienza: azione, parola, pensiero, desiderio, emozione. Qui si determina il nostro presente, si forgia il nostro futuro. Come entrare in profondità nell'inconscio? Attivando una diversa modalità di pensiero rispetto a quella propria del pensiero automatico. C'è gente che nasce e muore senza aver mai sperimentato il pensiero non automatico, libero da condizionamenti. Nasce e muore schiava di automatismi. Lo Yoga della Bhakti insegna ad osservare con distacco la propria mente, aiuta a destrutturare condizionamenti inconsci, ci permette di comprendere i bisogni della psiche e del corpo e di armonizzarli con quelli dell'anima. Dopo il prasada piacevolmente condiviso con i partecipanti al Seminario, ci dedichiamo nel pomeriggio ad un'esperienza di visualizzazione meditativa. Come vorrei essere. Come vorrei vivere. Shrila Gurudeva evoca immagini che ci ristorano, che ci permettono di vedere soluzioni finora mai viste. Prima che scivolino nell'inconscio, fissiamo queste immagini nel giardino della memoria, affinché possiamo rievocarle nel momento del bisogno. Seduti in cerchio, impariamo a percepirci diversi dal corpo, diversi dai pensieri angoscianti che ci assillano. Abbiamo un corpo ma non siamo il corpo. Abbiamo una mente ma non siamo la mente. Siamo davanti al mare, su di una scogliera, e visualizziamo come vorremmo vivere, come desideriamo essere. Il sole, le onde, le immagini più care che ci pervadono e arrivano fino al cuore. Leggerezza, pace, liberazione, solidarietà, equilibrio, calore, benessere, liberazione: scrive una ragazza seduta accanto a me che ho conosciuto sofferente per la morte del padre avvenuta qualche anno fa e che per la prima volta partecipa ad un Seminario di Shrila Gurudeva. Testimoniamo un altro dei piccoli grandi miracoli che accompagnano la diffusione del potente e meraviglioso messaggio della Bhakti.

Napoli, 13 Dicembre 2009.
Andiamo a fare una passejapa nella Villa Floridiana. Il panorama che vediamo è bellissimo: la costa amalfitana, Posillipo, Capri, il vulcano Vesuvio che impera su Napoli, riflessi d'oro e d'argento sull'acqua. Vediamo una barca che solca il mare. La scia che apre nell'acqua è illuminata dai tiepidi riflessi di un sole invernale. Il pensiero va alla scia luminosa che il Maestro ci apre nell'oceano del samsara: seguirla ci permette di raggiungere la sponda della consapevolezza, dell'immortalità, della beatitudine. Noi vogliamo seguire quella scia. Il tempo scorre. Alle 10.30 abbiamo dato appuntamento ai partecipanti al Seminario di ieri per proseguire con un programma di domande e risposte. Dobbiamo andare. “Il tempo non si ferma, e i nostri corpi non smettono di consumarsi”, dice Shrila Gurudeva a bassa voce mentre riprendiamo la via del ritorno. Poche parole che ci riportano alla realtà dell'esistenza incarnata. Realizziamo ancora di più la sacralità, l'unicità, la preziosità indicibile dei momenti vissuti alla presenza del Maestro, che ci indica la luminosa via dell'Amore. Ce la mostra, la spiega, la percorre lui stesso e ci avvolge di luce e di ispirazione con il suo comportamento. La gratitudine e l'affetto riempiono il cuore e dal cuore dilagano, dentro e fuori di noi. Nella sala della cara devota che ci ospita ci raccogliamo in un bhajan. Sono arrivate le persone che ieri abbiamo invitato. “Questo mondo non è scollegato dal sovrammondo. La famiglia, il lavoro, la salute, le relazioni, persino la politica: niente è sconnesso dalla dimensione spirituale. Non c'è niente in questo mondo che non possa essere utilizzato per la realizzazione spirituale. Lo spirito dobbiamo calarlo sulla terra e la terra dobbiamo ricongiungerla al cielo”. Così Shrila Gurudeva inizia a parlare e prosegue descrivendo i quattro principali obiettivi dell'essere umano: i catur purushartha, che culminano nell'Amore. L'Amore, la Bhakti, è la quintessenza, è l'unico vero obiettivo da raggiungersi nella vita. É il param gati: la meta suprema (Bhagavad-gita XVIII.54). Come si pratica e a cosa serve la disciplina della Bhakti? La pratica della Bhakti produce anartha nivritti, la destrutturazione dei condizionamenti, sviluppa attrazione per la Realtà, gusto per la vita spirituale, affetto intenso e infine Amore per Dio e per tutti gli esseri. Un Amore che si irradia. Tante domande e tante risposte si susseguono: il perdono, la genetica, la voce interiore, il distacco emotivo, la compassione. Una madre chiede a proposito del figlio che soffre. Lei non riesce a gestire questa sofferenza, ma le parole che ascolta le permettono di intravedere una soluzione. Affiora la speranza, scintilla una luce oltre il tunnel. Sono le 13.30. Anche se le domande sarebbero ancora molte, dobbiamo prendere prasada e poi partire per tornare in Toscana. Finita la lezione una signora che ci ha conosciuto oggi per la prima volta si avvicina a Shrila Gurudeva: “La ringrazio: mi ha fatto vivere momenti come non li vivevo da lungo tempo. Sono finalmente riuscita a rilassarmi, a sentire un'armonia interiore. Ho sentito enorme giovamento. Espressioni di soddisfazione che giungono con naturalezza e portano luce nel cuore. Dopo il prasada salutiamo i cari devoti che ci hanno ospitato e ci rimettiamo in viaggio. Shri Sankirtana yajna, ki jay! Shrila Gurudeva, ki jay!

11 dicembre 2009

Racconti in diretta: Realizzazioni, esperienze, riflessioni spirituali.

Lecce, 8 Dicembre 2009.
Al mattino ci raccogliamo in meditazione. Il Maha-mantra Hare Krishna risuona per la prima volta nelle orecchie dei partecipanti al Seminario. Alcuni di loro stanno continuando a seguirci nei nostri programmi. Si stanno affezionando. Il Seminario prosegue...Cantiamo la laude di Bhaktivinoda Thakur rivolta al devoto del Signore: “Ohe Vaishnava Thakur”. Shriman Matsyavatara Prabhu ci spiega il suo significato. “L'abbandono a Shri Shri Guru e Krishna è una pratica basilare, indispensabile per poter avanzare spiritualmente. Per l'essere umano sembra che ciò sia la cosa più difficile da fare. Sembra che si preferisca morire piuttosto che abbandonarsi, come se l'ego fosse più importante della vita stessa. Ma cosa ha di tanto importante l'ego? Se lo analizziamo con lucidità, scopriamo che esso non è altro che un insieme di scelte arbitrarie con le quali la persona si identifica. Come se voi vedeste un nucleo luminoso che è la vera persona, attorno al quale ci sono oggetti fluttuanti (nella psiche) e l'io si identifica non con il nucleo ma con questi contenuti effimeri. Il soggetto non ha a che vedere con essi, se non nella misura in cui il sole ha a che vedere con il suo riflesso nell'acqua. Noi siamo e rimaniamo, mentre quel riflesso non è e non resta. Una bolla che prima o poi scoppia: così è l'ego. Dunque cosa vuol dire abbandonarsi? Significa abbandonare un'illusione ed entrare in contatto con la nostra reale natura. Siamo esseri spirituali fatti per amare ed essere amati, e il nostro partner privilegiato è Dio, attraverso il Quale si può amare chiunque nell'universo e l'universo stesso. Quando voltiamo le spalle a Dio e al Suo amore, usciamo dalla realtà ed entriamo nel vortice delle apparenze. Se vogliamo tornare in contatto con la Realtà, la via regia è ristabilire la nostra relazione con Dio. E tra tutte le vie di ricongiunzione o comunione con il Supremo l'amore è la privilegiata, quella che eccelle su tutte le altre. Lo scopo della nostra vita è ricongiungersi al Signore e diventare recipienti dell'Amore divino. Gli innamorati di Dio ci trasmettono e ci insegnano questo Amore, come in primis fa il Guru: colui che amorevolmente ci guida, ci corregge, ci illumina, ci perdona quando sbagliamo. La sua caratteristica principale è la compassione, karuna. Attraverso il Guru e i devoti del Signore possiamo ricevere la Grazia divina per poter avere la forza di ricongiungerci al Supremo. Coloro la cui buddhi è sempre collegata a Dio sperimentano un flusso costante di ispirazione di cui diventano tramiti: prendono l'ispirazione dall'alto e la portano in basso. Si costituisce così un ponte tra terra e cielo. La terra può diventare bella come il cielo se noi viviamo in terra con la coscienza di cielo. E ciò è possibile se non perdiamo l'ispirazione. Il segreto del successo è diventare capaci di ricevere la Misericordia, trattenerla e donarla agli altri”. Shrila Gurudeva ci dona bellissimi insegnamenti sulla Misericordia divina. Ci porta luce e speranza nel cuore.

Lecce, 9 Dicembre 2009.

Siamo nel tempio. Cantiamo la preghiera “Gurudeva” di Bhaktivinoda Thakur: qui troviamo la corretta disposizione d'animo per iniziare ogni giornata e per vivere l'intera vita. É una disposizione d'animo che va rinnovata ogni giorno. Shriman Matsyavatara Prabhu ci offre insegnamenti importanti sui presupposti della vita iniziatica. “Coloro che desiderano intraprendere la vita iniziatica, dovrebbero capire l'importanza del programma spirituale del mattino: mangala aratika è la centralità della nostra vita spirituale, è ciò che ci permette di mantenere vivo il nostro desiderio di realizzazione spirituale, è uno degli strumenti principali per far crescere la pianticella della Bhakti: bhakti lata bija, come spiega Shri Caitanya Deva nei Suoi insegnamenti a Rupa Gosvami. Se il bhakta non è esperto, la giovane pianticella della Bhakti viene soffocata dalla erbe infestanti dei condizionamenti: se non vengono estirpate giorno per giorno, esse uccidono la nostra Bhakti. Come curarla e come proteggerla? Mangala aratika è indispensabile. Alzarsi presto al mattino, lavarsi accuratamente, mettersi vesti pulite dedicate alle funzioni religiose, offrire preghiere al Signore, offrirGli adorazione, invocare i Santi Nomi, leggere le sacre Scritture e ascoltare i commenti del Maestro spirituale e di devoti avanzati spiritualmente. L'avanzamento spirituale si misura in termini di coerenza, continuità della pratica, devozione e dedizione. La Bhakti è una tendenza spontanea dell'anima, ma per farla emergere, per farla fiorire, occorre seguire una sadhana rigorosa, altrimenti non riusciremo a rompere le catene della coazione karmica. La consapevolezza di ciò è fondamentale per coloro che sono discepoli e per coloro che desiderano diventarlo. Si può servire Shri Krishna in tanti modi diversi, ma il comune denominatore di tutte le varie forme di sacra seva è un'ottima sadhana personale. La pratica della Bhakti è il nostro “legno che varca cantando”. É un'impresa affascinante, bellissima, ma occorre tutto il nostro impegno. L'iniziazione spirituale non è un punto di arrivo, è il varo della nostra nave, del nostro vascello della Bhakti. La fede in Dio è una componente dell'anima, ma può illuminarsi e diventare potente fino a muovere le montagne oppure, se uno commette offese, può sgretolarsi, andare in frantumi fino a ridursi quasi a zero. La fede cresce o diminuisce a seconda di come noi ci comportiamo. Se non siamo sostenuti da una sadhana continua e rigorosa, i condizionamenti e la sofferenza ci sommergono”. Durante la giornata Shrila Gurudeva incontra varie persone. Tra queste mi colpisce in particolar modo una signora che con spontaneo entusiasmo dice a Shrila Gurudeva: “In quanti posti sono entrata per sentire anche solo una parola di quelle che tu hai detto in questi giorni, ma sono sempre rimasta delusa. Da te finalmente ho sentito dire quello che desideravo ascoltare da tanto tempo”. Sono parole che scorrono da anima ad anima.

Lecce - Napoli, 10 Dicembre 2009.

Al mattino presto partiamo da Lecce per Napoli. Si è conclusa la prima parte del viaggio. Commossi salutiamo i devoti e li ringraziamo per la loro ospitalità, per il loro calore, per la loro devozione, per il servizio che hanno reso a Shrila Gurudeva. Il viaggio prosegue. Mentre corriamo sulla strada vediamo nel cielo un grande stormo di uccelli: volano tutti assieme, uniti si librano nell'aria. L'un l'altro si fanno forza, volano verso una comune meta. Anche noi desideriamo librarci in alto, salire sulle nuvole, scavalcare la volta del cielo e raggiungere il sole. E' questo il nostro viaggio. Il sole fa capolino da una nuvola, il mare ci accompagna. La Natura ci parla del Suo Creatore. Nel pomeriggio Shrila Gurudeva tiene una Conferenza nella Sala neorinascimentale dedicata allo scultore Vincenzo Gemito, che si trova di fronte al Museo archeologico nazionale di Napoli, uno dei più importanti d'Europa. “Yoga come Arte di Vivere”. “Lo Yoga serve a curare sbalzi di umore, a sanare ferite psicologiche, ma anche a molto di più. Il fine dell'uomo è la felicità, e lo Yoga aiuta a raggiungere questo scopo. Lo Yoga ci permette di sperimentare quella gioia che non dipende da cose esteriori, che è ben diversa dall'euforia effimera dei sensi. Per poter realizzare ciò occorre ritrovare il nostro fulcro, la nostra centratura, e ciò è possibile solo ricollegandoci al Divino. Nella Bhagavad-gita, uno dei testi più autorevoli della tradizione indovedica, lo Yoga è spiegato nel suo significato di "ricongiunzione". Si ricongiunge l'io individuale soggettivo al Sè cosmico, a Dio. La suprema ricongiunzione è nella forma dell'Amore: Bhakti-Yoga.” Shrila Gurudeva prosegue spiegando la differenza tra il sé e l'ego, tra l'essere spirituale e l'io storico. “Quando la distanza tra l'io e il sé aumenta, l'essere diventa sempre più alienato. Anche se conquistasse un impero economico sarebbe sempre più povero. Anche conseguisse tutto il sapere, sarebbe il più ignorante e il più infelice. Anche se avesse tutto il potere, si sentirebbe comunque un miserabile”. Vengono spiegate le conseguenze dell'allontanamento tra l'io reale e l'io immaginario, ed anche cosa succede quando l'io e il sé si riavvicinano fino ad integrarsi ed armonizzarsi. Ci viene rivelata la bellezza della ricongiunzione attraverso l'Amore, in cui tutto ritrova senso, unità, scopo, valore. Le persone sono assorte in un ascolto che ravviva, vivifica, dà speranza e direzione alla nostra vita nel mondo.

10 dicembre 2009

Racconti in diretta: Realizzazioni, esperienze, riflessioni spirituali.

Lecce, 6 Dicembre 2009.
Siamo a Lecce, ospiti di alcuni cari devoti che hanno organizzato per Shriman Matsyavatara Prabhu alcune conferenze pubbliche, incontri devozionali e un seminario sul tema “Pensiero, Azione, Destino”. Oggi è il giorno dedicato al Seminario, che è iniziato ieri pomeriggio. E' il primo Seminario che il nostro Maestro tiene a Lecce. Siamo a Palazzo Turrisi, un palazzo storico del XVII secolo nel centro storico della città, per approfondire la scienza del pensare ed altri insegnamenti finalizzati al risveglio della Bhakti, l'amore puro per Dio e per ogni creatura. É una giornata limpida, con un tiepido sole invernale che riscalda i corpi e illumina le menti. Vi offro con gioia alcuni degli insegnamenti che ascolto e che più mi colpiscono. “Con il nostro campo psico-emotivo pervadiamo l'ambiente attorno a noi e lo influenziamo. La nostra mente dà forma, suono, colore a tutto quel che percepiamo: cose, luoghi, persone, esperienze. La realtà che si rivela ai nostri occhi è solo quella che la mente e i sensi ci permettono di percepire. I limiti che percepiamo sono quelli imposti dalla nostra mente. L'antica saggezza dei rishi vedici e lo Yoga della Bhakti insegnano conoscenze e metodi per la purificazione dei contenuti psichici consci e inconsci, descrivendo le componenti bio-psico-spirituali dell'essere ed aprendo ad una visione cosmica e teleoscopica della vita e del progetto universo. L'essere umano è fatto per conseguire uno scopo. Se si rinnegasse questo scopo o se si sbagliasse nell'identificare lo scopo di valore da raggiungere, l'insoddisfazione e la sindrome depressiva diventerebbero così forti e insostenibili che si attiverebbe immediatamente una pulsione di morte, con la conseguente tendenza inconscia a costruire piani suicidari. È dunque quanto mai fondamentale riuscire a ben definire lo scopo esistenziale che vogliamo conseguire affinché sia veramente corrispondente alle nostre più profonde e ideali aspirazioni: quelle dell'anima. Se impariamo a raccoglierci in noi stessi, nell'essenza, attraverso la preghiera, la meditazione, l'ispirazione e l'intuizione spirituale, potremo fare scelte che saranno veramente le nostre e delle quali non ci pentiremo mai. Perché saremo entrati in contatto con il nostro nucleo, con la cifra essenziale di noi stessi che è la coscienza, il sé spirituale, l'atman, ritrovando la nostra capacità di contestualizzarci nell'universo. Potremo così percorrere la via celeste dell'evoluzione che ci porta in cieli virginali, in prati di smeraldo, avvolti da quella gioia profonda che non dipende da ciò che è esterno ma che sgorga direttamente dal cuore. E' la gioia dell'anima di cui parlano i mistici di tutte le grandi tradizioni spirituali”. Shrila Gurudeva spiega ai partecipanti al Seminario la composizione dell'essere umano: il corpo grossolano (sthula sharira), il corpo sottile (linga sharira), i cinque involucri della personalità (panca kosha), i sette livelli di percezione o bhumi. “Quando la buddhi o intelletto è collegato al purusha, al sé spirituale (Bhagavad-gita II.50), si attiva la funzione trascendente e si realizza la nostra natura più intima di atman. Abbiate coscienza che nessuna forza nell'universo lavora contro di noi. Tutto l'universo tende alla nostra evoluzione, opera per la nostra liberazione, affinché si possa superare ogni ostacolo che ci trattiene a terra, in pensieri automatici, in gabbie psichiche che generano sofferenza, chiusura, buio della coscienza. Abbiamo immense potenzialità di realizzazione, ma per renderle effettive è importante agire in armonia con le forze dell'universo”. Il Seminario prosegue evidenziando la forza terapeutica della meditazione e della parola sacra (vac), il mantra che “libera la mente” dai contenuti involuti, contaminati, e illumina la coscienza. Shrila Gurudeva collega gli insegnamenti antichi dello Yoga della Bhakti alle moderne scoperte scientifiche, ad esempio quella dell'Accademia di Scienze Russe sulla capacità della parola di modificare il DNA. “Gli insegnamenti spirituali, come quelli trasmessi dalle antiche narrazioni puraniche, veicolano immagini, emozioni, pensieri, valori che possono correggere alla radice tendenze inconsce patologiche che rovinano la vita, non solo a noi ma anche alle persone che ci stanno accanto. Le tecniche utilizzate non sono psicoterapeutiche: esse traggono forza e ispirazione dalle dimensioni più elevate della coscienza, quelle che sono oltre i limiti della psiche, che costituiscono la nostra vera natura e alle quali si può attingere attraverso il raccoglimento, la meditazione e un'azione gioiosamente offerta a Dio per l'evoluzione di ogni essere. Il fine della nostra vita è la realizzazione spirituale. Più ci realizziamo più diventiamo gioiosi, perché la nostra natura è la felicità (ananda). Non potremo mai essere felici se non realizziamo noi stessi”. Le persone sono sempre più ispirate. Già rispetto a ieri possiamo vedere quanto si siano aperte, quanto maggiormente siano ricettive, partecipi, desiderose di far propri gli insegnamenti che ricevono. Le loro domande permettono di approfondire la connessione tra pensieri ed emozioni, l'atman come sorgente energetica di tutte le funzioni psicofisiche, le principali tecniche di visualizzazione meditativa. Il tempo scorre velocemente. É già ora di pranzo. Offriamo ai partecipanti Bhagavata Prasada e rispettiamo tutti assieme, seduti in cerchio. Si hanno scambi vivaci, genuini, ispiranti. Il pomeriggio prosegue con una bellissima esperienza di Visualizzazione meditativa. Questa pratica svela nei cuori alcuni segreti dell'immaginazione attiva e di quella speciale modalità del pensiero tradizionalmente definita dhyana, che è ben al di sopra del pensiero ordinario. Ne possiamo sperimentare i frutti in termini di intuizioni, emozioni, visioni, sogni, realizzazioni. Emergono alla coscienza immagini e sentimenti che offrono ai nostri problemi soluzioni che prima d'ora mai avevamo intravisto. Questo nostro stare assieme è dolce, costruttivo, illuminante. Alla fine del Seminario concordiamo con i partecipanti di proseguire l'esperienza l'indomani, nel pomeriggio, a casa del devoto che ci ospita. Vedremo assieme il video appena uscito dell'evento che si è svolto in Palazzo Vecchio a Firenze su “Il Viaggio di Dante e la Bhagavad-gita” e poi proseguiremo con l'analizzare e dare risposte alle riflessioni che i partecipanti al Seminario hanno scritto durante il laboratorio di gruppo sui seguenti temi: come vorrei essere; qual è l'ostacolo principale alla mia realizzazione. Concludiamo l'intensa e bella giornata con un gioioso bhajan offerto alle Divinità di Shri Shri Radha Gopinath. I colori dei loro abiti, oro e bianco, evocano la maestosità e la purezza del Divino che orienta le nostre vite.

Lecce, 7 Dicembre 2009.

La mattina, dopo il programma spirituale e il canto dei Santi Nomi, andiamo in visita al Castello Carlo V del sec. XVI, maestoso e possente, una fortezza nel cuore della città leccese. Shriman Matsyavatara Prabhu ci ricorda che qui si sono svolti atti turpi, tragedie umane, cospirazioni, soprusi. Visitare questi luoghi ci dà occasione di riflettere su quanto possa degradarsi l'essere umano fino a diventare strumento di violenza persino contro i propri simili. La storia è maestra di vita, come dicevano i latini (historia magister vitae): conoscerla è importante per prevenire errori del passato, per rinnovare il nostro desiderio di purezza, di elevazione, di liberazione. Usciti dal castello, mentre camminiamo tra le vie della città, ci fermiamo ad osservare uno spettacolo bellissimo: un albero con radici possenti, così grandi che assomigliano a quelle di un baniano e che rappresenta un panorama davvero insolito nel pullulare di case, strade, palazzi, insegne di negozi. Mentre osserviamo le possenti radici che affondano nel terreno, esprimiamo nel cuore desideri e preghiere al Signore: "Rendici forti, stabili, irremovibili nell'Amore". Se non si mettono radici non si vola. Il pomeriggio ci incontriamo alle ore 16 con i partecipanti del Seminario per guardare assieme il video dell'evento in Palazzo Vecchio a Firenze su: "Il Viaggio di Dante e la Bhagavad-gita". In seguito proseguiamo con la parte finale del Seminario, quella fuori programma che è stata proposta per permettere ulteriori approfondimenti e che le persone hanno accolto con gioia. Siamo una trentina nella casa del devoto che ci ospita. Esaminiamo una ad una le riflessioni dei partecipanti al Seminario sui seguenti temi: come vorrei essere; qual è il mio ostacolo. Shrila Gurudeva ci offre riflessioni preziose, in un'atmosfera calda, familiare, coinciliante ad un'apertura del cuore. "Se non inseriamo valori assoluti nella nostra vita, nessuna relazione che stabiliamo potrà mantenersi e durare a lungo. Se i principi di vita cui facciamo riferimento sono soggetti a spazio e a tempo, le relazioni che intratteniamo saranno ugualmente soggette a spazio e a tempo e dunque destinate ad un'inesorabile consunzione. Lo scopo della vita è introdursi in quella dimensione nella quale possiamo vedere, capire, sentire, realizzare la differenza tra ciò che è nel divenire e ciò che è nell'essere". "Il mio ostacolo", dice uno dei partecipanti, "è la fede intermittente, l'insicurezza, l'incapacità di contestualizzarmi, la difficoltà ad individuare la direzione nella quale voglio andare". Shrila Gurudeva risponde con insegnamenti che vanno dritti al cuore, mentre le persone sono sempre più immerse nell'ascolto. "Nella Bhagavad-gita Shri Krishna spiega che ogni essere è nel suo percorso e ogni percorso è diverso da tutti gli altri: ognuno ha il proprio viaggio da compiere, a seconda delle sue tendenze e delle esperienze che ha fatto nella propria vita. Dice un antico proverbio cinese: chi non conosce il proprio luogo di provenienza non può arrivare al luogo dove desidera andare. Se non riusciamo a contestualizzarci, non saremo capaci di giungere alla nostra destinazione. Talvolta sembra che ci siano forze che lavorano contro di noi, che contrastano con gli obiettivi che ci siamo prefissi, in questo caso l'aspirazione ad una fede stabile. Per risolvere il problema dobbiamo andare innanzitutto alla ricerca delle cause. La causa di una fede discontinua è l'incoerenza nell'agire. La fede è una qualità dell'anima. Non esiste una persona senza fede. Se il soggetto che ha una fede intermittente in Dio e nella realtà spirituale imparasse ad osservarsi, vedrebbe che nel suo caso la fede si è trasferita su qualcos'altro. Neanche per un attimo una persona può vivere senza fede, così come neppure per un attimo una persona può vivere senza amore; però la fede e l'amore si contaminano. Occorre una disciplina, un impegno costante, una scienza da applicare nella nostra vita per purificare la nostra naturale tendenza verso la fede e l'amore. La disciplina della Sadhana-Bhakti permette lo sviluppo di un amore gradualmente sempre più puro, restituendo integrità e armonia alle varie funzioni psichiche affinché non ci sia dispersione di energie verso obiettivi effimeri. Che bellezza quando tutto il nostro essere, quando tutta la nostra vita converge armonicamente verso la nostra evoluzione, verso quell'Uno che dà senso e gioia al nostro percorso nel mondo". Si è creata un'atmosfera speciale. La murti di Shrila Prabhupada risplende vicino a Shrila Gurudeva. Gradualmente le persone vengono introdotte nel cuore della Bhakti. Continua l'apertura del cuore e Shrila Gurudeva offre insegnamenti in risposta alle varie problematiche sollevate dalle persone: "vorrei essere più attenta ai bisogni degli altri; il mio ostacolo è la pigrizia"; "vorrei acquisire più fiducia e stima in me stesso; il mio ostacolo è l'impazienza". Shrila Gurudeva ci racconta una storia del Mahabharata per spiegarci i danni dell'impulsività. Poi prosegue offrendoci strumenti per superare la paura di amare e la paura della solitudine. "Si deve imparare ad amare senza pretese, senza aspettative. Il vero amore non ha un oggetto esclusivo. Per natura l'amore è energia in espansione, che va rivolta verso tutti gli esseri". Una signora dice in pubblico: "Maestro, oggi dopo averlo ascoltato, per la prima volta ringrazio il Signore per la crisi cui mi ha posto di fronte. Perchè capisco che ciò mi sta aiutando a superare i miei limiti." Questa signora, che è un medico, ha trovato per strada una locandina del Seminario qualche ora prima che iniziasse e ha deciso di partecipare. "Ieri ho focalizzato durante la visualizzazione meditativa una bellissima immagine. Ora questa immagine mi ritorna in mente quando penso al problema che sto vivendo e mi fa stare tranquilla, quando prima ero invece colta dall'angoscia". Testimoniamo sul campo che si è messa in moto una nuova prospettiva, più ampia, che sta aiutando la persona a guardare al suo problema da un altro punto di vista, che permette di scorgere la soluzione. Come sempre tutto dipende dalla nostra attitudine interiore. Stasera per alcuni dei presenti è stata una rinascita: come se si fosse spento un motore che produceva un rumore assordante a cui ci si era assuefatti con sofferenza continua. Sono le 21.30. Secondo il programma l'incontro doveva terminare alle ore 20. Le persone presenti continuano a fare domande, a portare all'attenzione loro casi personali. La loro sete di conoscenza trova soddisfazione. E' bello vivere così: illuminandosi l'un l'altro per poi fare ognuno esperienze di crescita nel laboratorio della propria vita.

08 dicembre 2009

Racconti in diretta: Realizzazioni, esperienze, riflessioni spirituali.

Da oggi è attivo questo nuovo spazio dove pubblicheremo insegnamenti di Shrila Gurudeva e diari dei viaggi di Sankirtana!

Il titolo di questa rubrica è: "Racconti in diretta: realizzazioni, esperienze, riflessioni spirituali". Sarà un ulteriore utile strumento per rimanere in contatto con l'opera del nostro Maestro anche quando non si ha la possibilità di una partecipazione in prima persona.

20 ottobre 2009

Il Viaggio di Dante e la Bhagavad-gita.

Esperienza psicologica di Inferno, Purgatorio e Paradiso per l'uomo contemporaneo.
Sabato 26 settembre in Palazzo Vecchio a Firenze la Bhagavad-gita della tradizione vedico-vaishnava, che Shrila Prabhupada ha diffuso in Occidente, e la Divina Commedia di Dante Alighieri, hanno dialogato in uno scenario suggestivo, ispirando e affascinando le circa seicento persone intervenute da tutta Italia per l'occasione. Il suggestivo contesto storico artistico ha ospitato egregiamente l'evento, condotto da Matsyavatara Prabhu. Esso ha avuto luogo nel Salone De' Cinquecento ed è stato videoproiettato in quello De' Dugento. Le scene di battaglia raffigurate nei dipinti del Vasari, il Genio della Vittoria di Michelangelo e le statue di Vincenzo De' Rossi rappresentanti Le Fatiche di Ercole sembravano rievocare i momenti cruciali del viaggio esistenziale di Arjuna nella Gita e di Dante nella Commedia. L'angosciante crisi che entrambi vivono, che pare a loro quasi peggiore della morte, li conduce in una difficile battaglia (‘la guerra sì del cammino e sì de la pietate’) dalla quale escono entrambi vittoriosi. Matsyavatara Prabhu ha dapprima tracciato una contestualizzazione culturale e socio-storico-politica delle due opere, descrivendo tratti peculiari dell'antica tradizione indovedica e della civiltà medioevale ai tempi di Dante con riferimento alle loro rispettive fonti. Sono state offerte prospettive culturali di ampio respiro in uno stimolante confronto-dialogo tra Oriente e Occidente, tracciando collegamenti tra culture solo apparentemente distanti: i grandi classici greci e latini, gli antichi rishi vedici, la tradizione alchemica medievale e il Dolce Stil Novo, la letteratura islamica e i mistici sufi, il cristianesimo e la tradizione della Bhakti vaishnava. Su due grandi schermi scorrevano immagini che rievocavano i contenuti delle due opere, mentre Matsyavatara Prabhu entrava nel vivo approfondendo i profili psicologici dei caratteri di Arjuna e Dante nelle loro sorprendenti convergenze: due eminenti figure politiche, un principe e un priore, che nel loro dramma esistenziale e sociale, appassionatamente intraprendono la ricerca di un sentiero evolutivo che dalla selva oscura li riconduce alla luce dell’alta consapevolezza, il ben dell'intelletto dantesco e il buddhi-yukta di Krishna nella Bhagavad-gita. Attraverso le spiegazioni offerte, le voci di Arjuna e di Dante parevano dialogare tra loro esprimendo le stesse problematiche esistenziali, di cui si è potuta toccare con mano la sorprendente attualità; a tali cruciali interrogativi rispondevano gli insegnamenti di Krishna nella Gita e di Virgilio e Beatrice nella Commedia, offrendo soluzioni e valori di riferimento per vari aspetti convergenti. In entrambi i casi l'esperienza della crisi si rivela essere lo stimolo più grande per la propria personale evoluzione, che passa attraverso il riconoscimento e il superamento dei propri limiti fino all'illuminazione e all'incontro con Dio. Dante riconquista la luce attraverso la discesa negli inferi, in cui riconosce i propri vizi e le umane bassezze, e Arjuna ritrova la pace combattendo nello spirito dell’offerta a Shri Krishna quella battaglia di Kurukshetra che ogni individuo è chiamato ad affrontare nella propria vita. Dando risposta alle domande poste dal pubblico sono emerse, in un coinvolgente e vivido affresco, le caratteristiche degli stati di coscienza di inferno, purgatorio e paradiso, corrispondenti alle dimensioni bhur, bhuvah, svahah della psico-cosmogonia indovedica. I protagonisti della Gita e della Commedia sono stati colti e rappresentati nei loro significati più profondi: uscendo dall'alone di un'interpretazione meramente letteraria e accademica, essi hanno espresso con forza e chiarezza le loro istanze. Chi ascoltava ha potuto rispecchiarsi nelle loro vicende, li ha incontrati nella propria vita, li ha scoperti presenti nel proprio animo poiché sorprendente espressione di debolezze e virtù proprie, di differenti tendenze e livelli di consapevolezza. Alcuni dei temi approfonditi nel confronto tra Bhagavad-gita e Divina Commedia: la figura archetipica del maestro spirituale, gli ostacoli lungo il cammino, il rapporto individuo-società, le vie alchemiche della purificazione del cuore, e soprattutto l'amore come culmine dell'esperienza realizzativa in entrambi i percorsi iniziatici. La Bhakti della tradizione indovedica e l'amor divino della Commedia rappresentano nelle due opere la méta comune da raggiungersi e al tempo stesso il comune mezzo che conduce a quella suprema méta. In essa è racchiuso il senso della vita prima della morte e oltre la morte. Il viaggio dalla terra al cielo, dalla morte all'immortalità, dalle tenebre alla luce, dall'uomo a Dio, dalle passioni egoiche all'amore immortale è l'avventuroso percorso che in parallelo compiono Dante ed Arjuna, e che ogni individuo ha la possibilità di intraprendere per ritrovare la propria collocazione armonica nell'universo e realizzare se stesso oltre i condizionamenti dell'ego, di tempo e spazio. La Gita e la Commedia – ha concluso Matsyavatara Prabhu – sono opere di intramontabile valore, le cui straordinarie convergenze fanno cadere le contrapposizioni tra Oriente e Occidente, abbattono fanatismi laici e religiosi; esse insegnano ad integrare l'umano con il Divino, a realizzare il Divino senza rinnegare l'umano. La Gita e la Commedia possono non solo proficuamente dialogare tra loro, ma far dialogare anche le genti di oggi, l'individuo e la società, creature, creato e Creatore, conducendo nelle loro espressioni più alte alla realizzazione della divina saggezza e dell'amore immortale. L'amor che move il sole e le altre stelle. La Bhakti come suprema forza purificatrice, che trascende i confini di tempo e spazio e che costituisce l'apice di ogni percorso spirituale autentico.
Per chi è interessato è disponibile un video dell'evento.

Per informazioni: secretary@c-s-b.org.

01 ottobre 2009

'Il valore delle relazioni' di Shriman Matsyavatara Prabhu.

La qualità delle relazioni è garantita solo se sappiamo apprezzare il valore e le qualità degli altri e della relazione in sé. La carenza o addirittura la mancanza di tale apprezzamento produce un deserto relazionale. Per ovviare a ciò, primo passo indispensabile è imparare a riconoscere i pregi a chi li ha. Cosa dire, quando, quanto e a chi non è sempre facile da capire o da intuire: le relazioni umane sono un universo complesso. A volte mettiamo il cuore in una relazione, cerchiamo di svilupparla al meglio delle nostre possibilità, eppure non riusciamo a costruire con l'altro quel che era nelle nostre intenzioni. A noi spetta impegnarci e fare il massimo, con intento evolutivo, con gioia e desiderio di crescere assieme ma senza aspettative, sempre aperti alla risposta dell'altro, rispettando l'altrui libertà. Se davvero desideriamo imparare ad amare gli altri, non ci adageremo passivamente sulle persone sviluppando con loro relazioni morbose, di dipendenza, caricandole delle nostre aspettative e pretese egoiche e con queste soffocando la possibilità di interagire ed operare favorevolmente per il bene comune. Chi non riesce a mettere in pratica questo basilare principio, crolla con il crollare della relazione: perde quota e cade al suolo senza neanche aver avuto il tempo di accorgersene. Investiamo nelle relazioni le nostre migliori energie, tutta l'intelligenza e il cuore, ma facciamolo senza ammalarci di perfezionismo, essendo umilmente consapevoli degli umani limiti, nostri e altrui. Anche ciò ci aiuterà ad apprezzare il valore di ciò che stiamo costruendo. Per edificare una relazione, che sia di coppia, amicale, parentale o di Guru-discepolo, tenete di conto dei tre principi fondamentali che Vitruvio stabilì come prioritari per l'edificazione delle costruzioni:

1) Stabilità
2) Funzionalità
3) Bellezza

Un edificio deve essere stabile, solido, capace di reggere agli urti del tempo e degli elementi della natura, e così una relazione. Non si può costruire su di un terreno fragile che non regge: si debbono necessariamente scegliere terreni solidi. Se abbiamo a che fare con un terreno fragile, occorre prima di tutto iniziare un lavoro di consolidamento del terreno stesso, prima di cominciarvi a costruire. Non si può consolidare il terreno e nel frattempo iniziare a costruirvi sopra: non funzionerà, per certo l'edificio non potrà reggere, così come una relazione non potrà reggere agli urti del tempo e alle sfide della vita se non è stata ben impostata, ben preparata, coltivata, rafforzata, maturata. Affinché si manifestino i propri ed altrui talenti e qualità, affinché si sviluppino le siddhi, ovvero le perfezioni nella relazione, e diventino sempre più fulgenti, in tutta la loro potenzialità espressa, occorre costruire su basi solide e per far ciò occorre operare con continuità, senza intermittenza, senza distrazioni o dispersioni di energie, viceversa le nostre possibilità di sviluppo e di realizzazione rimarranno incompiute, flebili come piccole lucciole che si accendono e spengono nel buio della notte. La discontinuità, e i conseguenti sbalzi di umore, rovinano le relazioni e ogni cosa che si fa: sono il minotauro che si deve prendere per le corna e vincere, se vogliamo portare a compimento le nostre imprese. Oltre ad operare con continuità per favorire il vigore, la tenuta e la stabilità delle relazioni, occorre impostare i nostri rapporti in base a ciò che è più funzionale. Funzionale a cosa? Alla nostra e altrui evoluzione. Una relazione può essere di per sé stabile e bella, ma se non è funzionale all'alto scopo che ci siamo prefissi, quale sarà il suo valore? Per imparare ad impostare le relazioni secondo il principio della funzionalità, è importante sviluppare le qualità della flessibilità, della duttilità, dell'elasticità, che ci permettono di scegliere a seconda della situazione in cui ci troviamo il comportamento più idoneo – per quel tempo (kala), luogo (desha) e circostanza (patra) - rispetto ai valori che ci siamo dati o che intendiamo perseguire. Infine, oltre ad essere stabile e funzionale, una costruzione secondo Vitruvio deve essere anche bella, e così ugualmente una relazione. Per quanto gli umani si siano sforzati di stabilire dei canoni estetici, il senso del bello è sempre sfuggito a rigidi schemi o a preimpostate categorizzazioni. La bellezza è proporzione, armonia, perfezione delle forme, ma anche quel certo “non so che” che rappresenta il fascino di una certa cosa, persona o relazione: la sua unicità. E così, se affiniamo lo sguardo, se eleviamo la coscienza, se purifichiamo il sentire, possiamo scoprire fascino e bellezza in ogni essere, in ogni relazione, realizzando che la bellezza è oltre la mera parvenza delle forme: corrisponde all'intima essenza di ciò che è. Nella tradizione il bello era infatti inscindibile dal buono, dalle qualità dell'anima. Avviare relazioni affettive basandosi su criteri di estetica superficiale, quella ingannevole delle forme, vuol dire condannarsi a fallimenti sicuri. “Non t'inganni l'ampiezza dell'entrare”, dice Minosse a Dante, e continua: “Bada di chi te fide”. Ciò è importante per non intraprendere relazioni frutto di scelte avventate, il cui esito non può essere che frustrazione, sofferenza, tante volte depressione e disperazione. Impegniamoci ad interagire con gli altri con il costante ed unico desiderio di beneficarli, di perseguire il loro successo, quello vero, che è di natura puramente spirituale: ciò rappresenterà la migliore protezione per la nostra vita, per noi stessi, per le nostre relazioni. Sarà il principio potente, seppur invisibile, che guiderà in senso evolutivo ogni nostra scelta e ci orienterà sempre nella giusta direzione ad ogni cruciale bivio della vita. Impariamo a relazionarci sempre lasciando la possibilità agli altri di accogliere o rifiutare la nostra offerta di amore, perché l'amore vive di libertà. Ascoltiamo la nostra voce interiore quando agiamo, quando operiamo nel mondo, quando ci relazioniamo; se ci dà degli avvisi, se ci esorta ad essere cauti, prestiamole attenzione ed agiamo con prudenza, senza lanciarci in situazioni o in relazioni che potrebbero essere pericolose e che potrebbero danneggiarci e danneggiare più di quanto il nostro piccolo intelletto possa capire. La gradualità nello stabilire relazioni e nello stringere rapporti è essenziale per avere successo nella vita, così come è essenziale, una volta fatta una scelta con ponderatezza e lungimiranza, non cambiare improvvisamente i piani, seguendo acriticamente gli impulsi di mente e sensi, lasciandosi sopraffare dalla vita istintuale e venendo meno ai principi basilari della stabilità e della coerenza. Purtroppo l'impostazione prevalente della società moderna induce ad agire in maniera superficiale ed avventata, bruciando i tempi ed anche le relazioni, ma se vogliamo costruire rapporti di valore occorre investimento di tempo e di attenzione, sensibilità, maturità, cura, preoccupazione, senso di responsabilità, accoglienza, tolleranza, capacità di aprirsi all'altro per comunicare e per ascoltare profondamente. Evitiamo di coltivare quelle relazioni o azioni che non sono coerenti al progetto di vita che intendiamo realizzare, perché senza un progetto e senza seguire con continuità il metodo che ci porta a realizzarlo, non faremmo altro che ripartire ogni volta daccapo, consumando tempo ed energie e mostrando a noi stessi e agli altri la peggiore versione della nostra personalità. Elaboriamo un progetto dei nostri prossimi anni di vita come una sorta di carta nautica su cui meditare. Le cose grandi che si fanno sono tutte frutto di una visualizzazione interiore; per realizzare occorre saper visualizzare e anche saper correggere in corso d'opera le nostre visualizzazioni. Impegnarci a fare un progetto della nostra vita e a seguirlo coerentemente, significa fondare noi stessi e la nostra esistenza su basi solide, resistenti alle tante crisi che comunque tutti noi dovremo affrontare e che solo in questo modo potranno essere trasformate in occasioni di elevazione attraverso il riconoscimento e il superamento dei nostri limiti, accelerando sempre più il nostro cammino verso gli obiettivi che danno valore al nostro percorso nel mondo. Abbiamo un anno, una vita, un'eternità di fronte. Fare un progetto di vita e lavorarci con continuità ci stimola a conoscerci profondamente, a discernere tra il nostro io storico e il vero sé, tra obiettivi illusori e scopi di valore, tra relazioni effimere e relazioni propedeutiche al risveglio della coscienza, il tutto per favorire il grande viaggio di ogni essere umano verso la più elevata consapevolezza e la realizzazione del Divino dentro e fuori di sé. In ogni pensiero, desiderio, parola ed azione possiamo esprimere con intensità e ogni giorno con rinnovata freschezza la nostra istanza profonda di conoscere e amare noi stessi, gli altri e Dio, amando Dio in ogni essere e ogni essere in Dio. In questo modo dentro noi e in ogni persona che incontriamo getteremo semi di amore vero, quel sentimento puro e universale che può appagare completamente l'anima. Per sviluppare questo supremo amore occorre sviluppare le qualità dell'anima come fedeltà, lealtà, castità, trasparenza, pulizia, veridicità, senso di responsabilità, affidabilità, compassione, coraggio, amicizia, determinazione, perseveranza, imprimendole nella mente e soprattutto nel cuore, non con sterile forza di volontà e freddo raziocinio, che rischiano di sfociare in caparbietà e durezza, ma con l'impeto vitale dell'anima che rende interiormente forti ma flessibili, determinati ma dolci, entusiasti e pazienti allo stesso tempo, per la fede realizzata nelle infinite potenzialità del sé e per quella sviluppata capacità di equilibrio dinamico che ci tiene in piedi anche quando siamo urtati, anche se qualcuno ci provoca o ci disturba con un comportamento offensivo. Se seguissimo gli impulsi della mente reagiremmo con collera, con stizza, tirando fuori il peggio di noi, ma grazie alla pratica di una disciplina di vita, possiamo riuscire a trasformare queste pulsioni, canalizzando in modo costruttivo il loro potenziale energetico. La collera viene allora trasformata in parole che scrollano le persone dall'illusione senza ferirle, senza far perdere la speranza, ridando loro visione. Questo equilibrio dinamico è indispensabile da svilupparsi, e per raggiungere tale scopo fino alla più elevata realizzazione spirituale la tradizione indovedica raccomanda il metodo della sadhana-bhakti, collaudato da millenni, con efficacia sperimentata da innumerevoli persone. Una disciplina interiore di grande spessore per compiere la più grande delle imprese nella vita umana, quella dell'auto-realizzazione, che necessita di tutto il nostro impegno e di un orientamento sicuro, poiché ogni grande impresa è soggetta a grandi sfide. Se desideriamo relazioni di valore, tanti ci metteranno alla prova, con tentazioni e provocazioni. Ma se manteniamo salda la rotta, i piaceri fugaci gradualmente perdono di attrazione, le offese ricevute ci appaiono come grandi occasioni per superare i nostri limiti, e sempre più il Signore del cuore, che dal cuore parla al nostro cuore, Shri Kamadeva, soddisferà ogni nostro più intimo desiderio dell'anima, ogni aspirazione, ogni gioia che si desidera offrire al servizio di Dio. Chi desidera diventare un asceta diventerà un vero asceta, chi aspira ad essere un buon capofamiglia lo sarà, chi vuole produrre ricchezze a beneficio di tutti svilupperà l'intelligenza e l'intraprendenza per farlo se si comporta secondo l'ordine cosmo-etico di origine divina che sostiene ogni essere e l'universo intero, mentre chi arraffa per sé non produrrà mai nulla, né per sé né per gli altri. Nessuno può essere felice se non è in un trend evolutivo stabile. Per immetterci in questo trend evolutivo dobbiamo impegnarci a superare i nostri limiti: quelli strutturatisi geneticamente, quelli che sono conseguenza dell'ambiente in cui si è vissuto e quelli che sono il risultato di errori compiuti. Possiamo riuscirci se investiamo fiducia in noi stessi, nelle nostre qualità intrinseche, e in quelle altrui, riscoprendo quel tesoro che giace celato in ciascuno e che corrisponde alla nostra essenza profonda. I difetti, i condizionamenti, i limiti per i quali soffriamo sono superfetazioni che coprono la nostra vera identità. Non scoraggiatevi se non vedete subito i risultati: in realtà essi si stanno già strutturando ad un livello più sottile anche se voi non li percepite con gli occhi fisici, ma chi è esperto e sa guardare nel cuore li vede. Poiché tutto nel mondo è inscindibilmente collegato e per la legge universale della reciprocità tutto quel che è fatto è reso, per valorizzare noi stessi dobbiamo valorizzare gli altri, e lo possiamo fare se coltiviamo fiducia nelle loro qualità, esprimendo la convinzione che essi possono fare molto più di quel che credono ed essendo sempre pronti ad offrire loro parole di conforto nei momenti di bisogno, affinché il nostro ricordo possa aiutarli anche quando noi non ci saremo più o loro non saranno più con noi. Che le nostre parole e il nostro esempio di vita aiutino ad affrontare i momenti più duri, le prove più grandi, offrendo quell'energia e quella fiducia che serve per andare avanti anche se si è in salita, per poi magari scoprire - dopo la prima curva - che finisce la salita e inizia la discesa. Tanti di noi avranno già fatto questa confortante esperienza. Ogni individuo può realizzare se stesso se s'impegna in attività costruttive volte alla realizzazione spirituale, le uniche che profondamente soddisfano permettendo di esprimere al meglio la propria creatività, e se coltiva relazioni che hanno scopo evolutivo, le uniche che colmano il cuore di gioia e che possono essere condivise con tutti, perché l'amore vero non è esclusivo. La relazione con Dio è quella che dovremmo più di ogni altra privilegiare, ma poiché ogni creatura è espressione del Divino, il rispetto, la premura, l'apprezzamento e l'affetto dovrebbero scorrere verso ogni essere. Il destino del corpo è incerto, improvvisamente possiamo morire per una grave malattia, per un incidente o per chissà cos'altro. Non sappiamo cosa possa succedere a questa struttura della materia nella quale abitiamo, ma abbiamo una grande certezza: se qui ed ora intraprendiamo il viaggio evolutivo, esso continuerà anche oltre la dipartita da questo corpo fisico e ciò che abbiamo seminato qui fiorirà altrove rendendo facile e veloce il nostro progresso. Rinasceremo in un ambiente favorevole, da genitori che ci educano amorevolmente, incontreremo persone speciali che orientano il nostro cammino. Cerchiamo di vivere in maniera più umile possibile impegnando le energie che il Signore ci dà al servizio Suo e per il bene di tutti, senza lamentarci se siamo chiamati a salire su di un trono o a sederci per terra. Se l'utilità è il principio, e se l'utilità è funzionale ad uno scopo evolutivo, dobbiamo essere disponibili a fare qualsiasi cosa siamo chiamati a fare, al di là delle nostre preferenze egoiche. La Katha Upanishad spiega che è dal dovere che nasce il vero piacere, quello che dura e che appaga completamente. Parlare di temi come questi con chi ci sta più a cuore, con chi più è ricettivo, significa scambiare parole e gesti di amore: sono queste le effusioni del vero amore, le espressioni del più nobile tra i sentimenti. Amate, agite con il cuore, con spirito di gioco a favore del grande progetto evolutivo della vita. Questa attitudine vi dispenserà ogni gioia, vi permetterà di sviluppare ogni perfezione.

16 agosto 2009

'La valorizzazione degli altri' (Lecce, 27 Aprile 2009) di Shriman Matsyavatara Prabhu.

La sorgente di ogni qualità.
La Caitanya Caritamrita spiega che la compagnia dei sadhu è la sorgente di tutte le qualità spirituali. Attraverso il sat-sanga l'anima si risveglia e comincia a percepire direttamente, non più attraverso l'ego o la mente. Ciascuno di noi può sperimentare ciò, ma ogni esperienza che si acquisisce poi deve essere anche profondamente compresa, elaborata, interiorizzata, affinché diventi patrimonio stabile della persona.

L'importanza degli altri.
Nel nostro percorso spirituale dovremmo sentire forte l'esigenza non solo di profondamente comprendere ed elaborare noi per primi le intuizioni che per grazia di Shri Shri Guru e Krishna abbiamo, ma anche di operare affinché altri le comprendano, in modo da condividere con chi lo desidera la ricchezza che ci è stata data in dono. Ogni sentiero di realizzazione spirituale lo si percorre con successo nella misura in cui noi teniamo conto degli altri e li favoriamo nel loro progredire. Nella nostra vita gli altri non ci sono come comparse ma come coo-protagonisti, che assieme a noi fanno il viaggio dell'esistenza verso la meta che è l'amore. Anche l'importanza della compagnia dei sapienti illuminati è usufruibile nella misura in cui noi apprezziamo e valorizziamo la loro presenza. Attraverso i loro insegnamenti e modello di vita, il nostro impegno dovrebbe essere sempre volto a correggere e a migliorare i nostri comportamenti, per svincolarci da ciò che ostacola, rallenta o addirittura rovina il nostro e altrui progresso spirituale.

Favorire stati di serenità.
Dobbiamo sempre impegnarci in qualsiasi circostanza della vita a ricostituire con gli altri condizioni di serenità (shanti), anche quando siamo stati offesi o umiliati. Favorire questo stato di serenità e di benessere interiore (ben diverso dalla effimera gratificazione dei sensi) è ciò che contraddistingue un sadhu. A volte non è un'operazione semplice, specialmente quando abbiamo a che fare con persone che reagiscono con rancore, con risentimento, poiché mancano di elasticità e vivono rinchiuse in schemi rigidi, ma ogni nostro sforzo in questa direzione garantisce il nostro vero successo nella vita spirituale.

La capacità adattiva.
Una delle facoltà più grandi dell'intelligenza è quella adattiva, che spesso è carente anche nelle persone cosiddette colte che però non conoscono la vera sapienza né la saggezza. I sapienti hanno la capacità di espandere la visione degli altri, i quali possono così acquisire la capacità di accogliere più diversità in quello che era il loro ridotto panorama causato dalla loro miopia mentale. Oltre a ciò le persone sante, ancor più dei sapienti, vedono le qualità, le potenzialità, le facoltà dell'anima in chiunque, anche se represse e incatenate, e sanno come fare per rievocarle, per suscitare il loro risveglio.

Vivere giocando.
Si deve vivere da devoti giocando, ma giocando seriamente, rispettando tutte le regole del gioco, con conoscenza, rispetto e lealtà nei confronti del gioco stesso e di chi gioca con noi. Questo gioco è accompagnato da un'ondosa ed entusiasmante felicità. La vita spirituale non è una nenia ripetitiva: vivere spiritualmente è molto più dinamico che vivere materialmente. Inoltre, la coscienza spirituale include anche la conoscenza della materia; la trascendenza, infatti, include ciò che trascende: non è una fuga da, ma è un superamento di.

Modulare il rapporto con gli altri.
Quando ci troviamo di fronte a persone che non hanno desiderio di approfondire e giudicano con schemi rigidi, dobbiamo tenere di conto di ciò e cercare di individuare una scala valoriale condivisa per poter comunicare sulla base di tali valori comuni. Laddove non si dovessero identificare tali valori comuni, è bene mantenere le giuste distanze, ma sempre con grande rispetto, secondo il comune detto “buoni confini, buoni vicini”. Come prenderci cura degli altri, come valorizzarli, come rapportarsi a coloro che sono da noi coscienzialmente più distanti, è il primo insegnamento da acquisire nella vita spirituale.

La critica costruttiva.
La critica è negativa quando è tesa a sminuire e a disprezzare gli altri, ma esiste anche una critica costruttiva, animata dal desiderio di fare il bene altrui. La spiritualità non è scollegata da un rigoroso comportamento etico-morale. L'etica e la morale sono fondamentali per la realizzazione spirituale. Yama e niyama sono le prime lezioni da acquisire: ciò che deve essere fatto e ciò che non si deve fare. L'aderenza a tali principi permette di procedere rapidamente e con gioia sul sentiero della Bhakti.

Apprezzare le qualità degli altri.
Maya generalmente non entra nella nostra vita in maniera imponente, ma sottilmente. Dobbiamo stare attenti a non concederle neanche un minimo spazio, e la prima raccomandazione da seguire è quella di non reagire alle provocazioni. Se ci poniamo nella posizione di apprezzare le qualità degli altri (e negli altri possiamo sempre trovare qualche buona qualità, anche quelle che noi non abbiamo), possiamo intessere relazioni buone e di valore con tutti. Dobbiamo fare di tutto per risvegliare buoni sentimenti in chiunque incontriamo, comportandoci sempre a partire dalla base imprescindibile di sattva-guna, conquistando gli altri con l'amore. Non dobbiamo spintonare ma attrarre; questo è lo stile di Krishna: suona il flauto e ci attrae. Per rassicurare gli altri ed entrare nel loro cuore dobbiamo dare loro garanzie, e la migliore garanzia è la nostra purezza. Senza la forza della purezza non si può trasmettere il messaggio divino; non è la potenza dell'eloquenza che convince ma la nostra purezza. Anche se qualcosa vi viene detto in maniera arrogante, ma voi lo prendete candidamente, voi siete vittoriosi. Pensate all'opposto: prendere tutto quel che ci dicono gli altri come un'offesa. La vita diventa un inferno. Nella Bhagavad-gita Shri Krishna spiega che gli è molto caro colui che è benevolo con tutte le creature. Vaikuntha non è un altrove: è un qui ed ora nelle relazioni. Vaikuntha è una modalità relazionale: quella della Bhakti.

La creatività nelle relazioni.
Siamo esseri creativi e valiamo nella misura in cui siamo creativi per cercare di creare ottime relazioni, affinché la diversità non ci separi ma ci arricchisca. Guardiamo alle persone come ad esseri spirituali, a prescindere dal corpo che portano: giovane e avvenente, vecchio e malandato. A prescindere dalle loro caratteristiche esteriori, diamo a tutti occasioni per risvegliarsi spiritualmente. Non dobbiamo fare distinzioni tra colti e incolti: chiunque si avvicina, che sia seduto al vertice della piramide sociale o che sia sdraiato alla sua base, è un'anima da curare. Per aiutare le persone occorre capire quali sono gli attaccamenti che le legano e, quasi senza farsi notare, aiutarle a sciogliere quei nodi, sempre con il massimo rispetto. L'opposto a ciò è l'abuso, che ci fa cadere schiacciati dalle offese. Quel che Krishna ci invia è per offrirlo a Lui; così dobbiamo rapportarci agli altri nel gioco della vita.

19 luglio 2009

'La libertà dal senso di possesso' di Shriman Matsyavatara Prabhu.

Commento a Bhagavata Purana XI.9.1-10, Bhaktivedanta Ashrama 21 Aprile 2009.
La libertà dagli attaccamenti egoici e dal senso di possesso permette di superare ogni forma di ansietà, di mantenere una mente calma, di fissarla su Dio e sullo scopo supremo della vita, realizzando la gioia senza limiti dell'anima. Non ci possiamo liberare dal possesso in senso radicale, a volte per dovere prescritti o per doveri ascritti o per natura intrinseca delle cose; ad esempio non possiamo liberarci dal corpo che ci è stato dato. L'importante è non attaccarsi ad esso e a tutto quel che temporaneamente abbiamo come se fosse di nostra proprietà. É l'attaccamento al possesso che genera la sofferenza. Niente è di nostra proprietà: occorre fare buon uso di quel che ci è stato affidato. Occorre rinunciare all'effimero, non a ciò che può esserci utile per la realizzazione spirituale. Ad esempio l'abbandono del servizio devozionale è un atto distruttivo. L'intelligenza e la nostra capacità di dedizione vanno utilizzate tutte per favorire il nostro percorso evolutivo. Dobbiamo rinunciare al piacere effimero, ma non a quello connesso allo svolgimento della sacra seva. Il servizio devozionale riempie di gioia, anche laddove si incontrano delle difficoltà. La vera soddisfazione proviene dal servizio devozionale, dalla nostra relazione con il Signore e dal nostro impegno nell'avvicinare le persone a Shri Shri Guru e Krishna. Per vivere in stato di serenità occorre liberarci da tutto ciò che è superfluo per concentrarci solo su ciò che è utile alla nostra e altrui crescita spirituale. Non è quel che succede che ha effetto su di noi, ma come noi leggiamo o interpretiamo quel che succede. Solo chi guarda a quel che accade con una buona predisposizione interiore, può trarne beneficio. La vita ci riserva sempre grandi arricchenti insegnamenti, se noi preghiamo Shri Shri Guru e Krishna di permetterci di vedere il mondo con gli occhi dell'Amore.

25 giugno 2009

'La Sadhana Bhakti: mezzo di purificazione della coscienza' di Shriman Matsyavatara Prabhu.

Il ricercatore spirituale che opera attraverso la bhakti vive una trasfigurazione antropologica che potenzia tutte le sue qualità e caratteristiche individuali, depotenziando contestualmente gli interessi egoico-mondani e le pulsioni distruttive inconsce. La bhakti guarisce la mentalità turbolenta ed unilateralmente rivolta all’esterno, in quanto consente di sganciare la mente dalla dittatura dei sensi e i sensi dagli attaccamenti verso i loro oggetti (vishaya) nel mondo esteriore, permettendo così di intraprendere il viaggio verso l’interiorità e di riscoprire che la beatitudine e l’immortalità non si trovano fuori ma dentro, nella consapevolezza del sé, in quella dimensione spirituale ben descritta nella Bhagavad-gita, nelle Upanishad e in altri testi vedici. La bhakti è l’insegnamento conclusivo delle Sacre Scritture vedico-vaishnava. In quanto religione dell’amore essa troneggia sulle contrastanti forze titaniche della natura e le armonizza, permettendo di conseguire con prodigiosa naturalezza la coniunctio oppositorum che in occidente fu tanto ricercata anche dagli alchimisti. Per questo viene considerata la via maestra per giungere allo stato di nirdvandva, la libertà dai condizionamenti degli opposti. Chi è sempre incline a pensieri negativi e non riesce a vedere la soluzione ai propri problemi va considerato malato a tutti gli effetti, esattamente come chi soffre di fegato o di cuore, e quindi va trattato con compassione. I problemi più gravi sono costituiti dai blocchi affettivi e dall’incapacità di esprimere le emozioni. Tra coloro che non riescono ad aprirsi, a parlare delle proprie difficoltà, tra i più gravi notiamo gli autistici. Anche l’atteggiamento opposto: la logorrea e l’autoesaltazione, è però anch’esso sintomo di grave malessere psichico. Nevrotici e psicotici sono veri e propri divoratori di energie, proprie ed altrui perciò, nonostante abbiano un ruolo sociale, finiscono spesso per venire evitati da tutti sul piano umano e vivono in un deserto affettivo. La compagnia di persone sobrie, equilibrate, mature, spiritualmente elevate, in grado di dispensare affetto e conoscenza, risulta la migliore cura per loro, e più in genere, per qualsiasi disturbo della personalità. Per una riarmonizzazione dei vari strati della personalità, gli antichi testi ayurvedici consigliano terapie particolari, non costose, ecologiche e soprattutto molto efficaci. In primo luogo sottolineano l’importanza di condurre una vita onesta (arjavam), nel senso più ampio del termine, rispettosa delle leggi di Dio e degli uomini; è fondamentale inoltre che ognuno crei nella propria dimora uno spazio dedicato al sacro, una stanza con immagini della Divinità e del Guru dove poter attuare pratiche che permettono di rigenerarsi, di ricaricarsi di energie positive, di riarmonizzarsi continuamente con l’ordine che sostiene l’intero universo. Queste pratiche immensamente benefiche, sperimentate con successo per millenni, possono essere raggruppate in quattro categorie principali: arcanam, ovvero l’adorazione del Divino in una forma particolare detta Murti, japa o samkirtana, l’invocazione e la meditazione individuale o collettiva sui Nomi divini, svadhyaya, lo studio dei testi sacri attraverso cui approfondire l’introspezione e satsanga, la compagnia di persone profondamente religiose. Gradualmente, assieme ad un retto comportamento, le suddette pratiche sgombrano il campo psichico da ogni infiltrazione negativa, consentendo un completo ripristino delle facoltà mentali ed intellettuali, e in generale della salute dell’individuo su tutti i piani. Il saggio non si lascia coinvolgere in pensieri negativi, neanche in situazioni comunemente considerate drammatiche; ci riesce grazie ad una devozione ininterrotta che lo connette stabilmente al Supremo. Per ottenere il controllo emotivo di fronte agli eventi è essenziale lo sviluppo di due qualità fondamentali: abhyasa, la pratica spirituale costante, e vairagya, il distacco emotivo dal fenomenico. Ciò ovviamente non significa diventare emotivamente insensibili, simili a pietre, ma non lasciarsi più suggestionare dai fenomeni esterni, rimanendo continuamente collegati alla sfera della Realtà. Significa passare dal sentimentalismo al vero sentimento. Questo livello di coscienza non è facile da raggiungere, è tuttavia possibile attraverso la devozione a Dio; sono indispensabili onestà, tempo e impegno. Proprio come uno scienziato, il sadhaka può sperimentare su sé stesso, nel laboratorio della vita quotidiana, quanto sia diversa l’influenza esercitata da uno stato mentale piuttosto che da un altro. Secondo i Veda, occorre però che un Maestro realizzato nella scienza del Sé lo guidi nei suoi ‘esperimenti’, che gli indichi quali strumenti utilizzare e quali metodologie applicare, altrimenti le prove risulteranno inconcludenti, dolorose, talvolta costellate di amare sorprese. Occorre un Guru che sia presente con il suo esempio e i suoi insegnamenti e che orienti il discepolo verso la devozione a Dio, verso un pensiero di luce, verso la comprensione più elevata, quella di natura spirituale. Lo studente applica la conoscenza spirituale ricevuta dal Maestro e a lui si rivolge ogni volta che incontra serie difficoltà, in modo da capire dove ha sbagliato e come potersi correggere. Affinché ciò sia possibile, Guru e discepolo devono conoscersi a fondo, devono aver sviluppato una profonda, autentica relazione personale, basata su reciproci stima, affetto, lealtà. Ciò solitamente non può avvenire senza una iniziale frequentazione assidua infatti, nella società vedica, il discepolo viveva un consistente periodo della sua vita nella casa-scuola del Guru (Gurukula). Come ad un medico risulterebbe difficile curare un paziente vivendo a migliaia di chilometri di distanza, così il Maestro spirituale, almeno in una fase preliminare, deve stare in contatto con il discepolo, stimolarlo ad applicare la cura e somministrare di volta in volta la ‘medicina’ di cui più necessita. In un secondo momento, quando la relazione spirituale è diventata solida, quando si è stabilita una forte empatia, la distanza fisica non rappresenta più un ostacolo: il discepolo ricorda e si accorda agli insegnamenti del guru; inoltre, in quello stadio, i messaggi arrivano anche per via telepatica. Il rapporto Guru-discepolo non deve quindi essere né virtuale né rigidamente gerarchico. Il Maestro corregge lo studente per il suo bene, per autentico affetto nei suoi confronti; non opera per ottenere una qualche ricompensa; la cura che offre è totalmente gratuita, ecologica ed olistica, volta interamente allo sviluppo della personalità del discepolo secondo le sue tendenze naturali. La salute spirituale ovvero, la consapevolezza del rapporto con Dio, genera tutte le altre: quella intellettuale, quella mentale, quella fisica, quella sociale, quella economica, illuminando ogni angolo buio della mente e sviluppando appieno la personalità. Nei Veda la luce è sempre sinonimo di illuminazione interiore, di intuizione, di conoscenza, e la suprema sorgente di luce è Dio. La fiaccola della fede e dei pensieri elevati, fondati su sat, dovrebbe essere protetta e alimentata ogni giorno. Perché ciò sia possibile è indispensabile l’aderenza ai principi del dharma, essenziali sia per la prevenzione che per la cura delle tante malattie mentali contratte a causa di avidya, la mancanza di consapevolezza spirituale. La salute del complesso mente-corpo non può venire altro che dalla presa di coscienza del paziente della propria natura spirituale, consapevolezza che conduce l’individuo ad un pronto recupero di armonia con sé stesso e con l’universo nel quale è inserito. Secondo la medicina moderna, molto difficilmente si può guarire da certe gravi malattie fisiche e mentali; il modello bio-medico dominante purtroppo prende in scarsa considerazione le interattive dinamiche corpo-mente e spirito, per cui tende a minimizzarle, se non addirittura a negare l’importanza della consapevolezza spirituale nel processo di guarigione. Da molte malattie, anche gravi, secondo l’Ayurveda si può guarire ma occorre che il paziente lavori con onestà, costanza e profondo impegno sotto la guida di un esperto terapista, sottoponendosi con fiducia ad un sadhana rigoroso, e sempre ricercando Krishna prasadam. Così come per entrare in possesso di denaro occorre lavorare, allo stesso modo, per avere una mente sana, che produca pensieri positivi, benefici, occorre coltivare la purezza: nel pensiero, nella parola e nell’azione, giungendo a stabilire una relazione armonica con il Cosmo e a vivere nel rispetto delle leggi divine. Il ‘pensiero elevato’ non fiorisce in maniera artificiale; i contenuti psichici sono autenticamente elevati quando la persona vive con coerenza i principi che governano l’universo, in armonia con essi. Quest’armonia, come una sorgente che sgorga senza sosta, è capace di rigenerare in continuazione pensieri, impressioni ed emozioni, togliendo quella polvere dell’illusione (maya) che nell’universo fenomenico tende a ricoprire ogni cosa. La saggezza orientale insegna, qual è l’utilità di cercare la luna nel pozzo, anziché ammirarla direttamente in cielo, in tutto il suo splendore? Similmente: qual è l’utilità di andare a cercare il fascino e la gioia nel mondo, se neanche conosciamo noi stessi e non siamo collegati a Dio, Sorgente di questo fascino? Per godere stabilmente di buona salute, nessuna delle nostre attività dovrebbe prescindere dal bene degli altri, dall’armonia con l’universo, dal contatto con l’Origine del tutto. L’autentica coscienza di Dio, la coscienza del supremo Creatore e Reggitore dei mondi, dell’infinitamente Affascinante, è garanzia di benessere in senso globale. In tale stato di coscienza tutte le cellule del corpo vengono nutrite non solo fisicamente ma anche psichicamente e spiritualmente, con pensieri nobili, puri, elevati. I Veda spiegano che è possibile gestire il proprio corpo, l’economia, il lavoro, la vita familiare e religiosa senza sviluppare nevrosi, senza diventare depressi o eccitati, irresponsabili o quant’altro. Le richieste del complesso psicofisico non vanno negate o rimosse ma soddisfatte sublimandole, in maniera che non diventino di ostacolo alla realizzazione spirituale. In questo modo il corpo e la mente diventano strumenti estremamente preziosi, funzionali alla nostra crescita globale. Dovremmo vivere con la consapevolezza che dal nostro attuale livello di coscienza dipenderà la nostra condizione esistenziale futura. Lo scopo dell’esistenza è la realizzazione spirituale, il porsi nuovamente in contatto (yoga) con la Realtà, con l’origine, e con il sostegno supremo di tutto ciò che esiste: Dio. Realizzare Dio significa riscoprire anche noi stessi e la nostra ontologica natura di immortalità, conoscenza e beatitudine (sat, cit, ananda); significa trascendere l’ego illusorio ed entrare nuovamente in armonia con noi stessi, con Dio, con il creato e con le creature tutte.

20 giugno 2009

'Introduzione alla Sociologia e ai Rapporti Interpersonali (Parte Terza)' di Shriman Matsyavatara Prabhu.

DOMANDA: È giusto suggerire ad una donna di risposarsi anche se ha già figli? Inoltre: il suo rifugio è solo il marito, o anche il maestro spirituale?

Partendo dall’ultima domanda: la figura del marito e quella del guru non dovrebbero mai essere sovrapposte, a parte nei rari casi in cui una donna ha per marito un guru o una persona illuminata - com’era ad esempio il caso di Maitreyi nei confronti di Yajnavalkya. Il maestro spirituale può offrire un certo tipo di riferimento, ma certi bisogni di tipo sociale una donna con figli può decidere di assolverli da sola, oppure in compagnia di un marito. Certe volte per una donna sola è difficile educare i figli, specialmente i figli maschi che, giunti all’adolescenza, hanno un terribile bisogno del padre. Una donna particolarmente forte, e anche rara, può farcela anche da sola, con l’aiuto di una famiglia molto solidale. Nella società tradizionale c’erano i nonni, gli zii, i cognati, tante persone che costituivano una sorta di piattaforma di sostegno. La società moderna ha prodotto una famiglia molto debole. Lui e lei che vanno a vivere in un appartamentino, poi a causa di conflitti uno dei due rimane solo e la famiglia non c’è più, è disgregata. Molte famiglie di oggi sono costituite da individui fragili, che non hanno la capacità di sopportare le onde ripetute delle difficoltà. Venendo al punto io non vedo una grande soluzione nel ri-sposarsi; soprattutto quando ci sono figli a carico. Ma non si può porre un veto assoluto perché, come dicevo poc’anzi, esistono molte categorie umane, e tra queste ve ne sono molte fragili psicologicamente, che se non hanno la possibilità di ricevere un sostegno e un nuovo affetto crollano definitivamente, diventando pesi insostenibili per la società. Non possiamo emettere sentenze unilaterali assolute; la società di oggi non ce lo permette, in quanto si è frammentata a dismisura, creando tutta una serie di diritti-doveri che costituiscono una matassa inestricabile. Nella società tradizionale le persone vivevano per la maggior parte in campagna. In campagna spesso è sufficiente avere un orto per sopravvivere. A Milano centro, o nel cuore di qualsiasi altra città è difficile vivere con un orto. Al di là poi della sopravvivenza fisica dobbiamo anche sottolineare l’importanza della solidarietà e delle relazioni umane che nelle megalopoli, nelle metropoli superabitate e trafitte dalla solitudine, sono veramente rare. Dunque, quel che prima era inauspicabile, oggi può essere una dolorosa necessità, quasi da raccomandare, seppur non sempre e non senza avere conosciuto precisamente il caso in questione. Sul Maestro spirituale a volte si proiettano aspettative esagerate. Il Maestro spirituale ha una funzione metafisica, e deve aiutare nel mondo fisico per dirigere il viaggio verso la dimensione spirituale. Non è un consulente del lavoro, non è un consulente familiare, non è un consulente per i disturbi dell’infanzia. Tutto questo può essere sottoposto al guru, e questi può avere un’apertura mentale e una cultura eclettica tali da poter aiutare in numerose occasioni; ma deve essere compreso che quell’aiuto non è per accomodarsi nel mondo materiale, è per superarlo e trascenderlo. Dunque, non si dovrebbe appesantire inutilmente il Maestro spirituale, quando altri possono risolvere problemi di loro specifica competenza. Spesso i problemi delle persone sono generati da loro stessi, soprattutto da pretese che nessun uomo o donna potrebbe mai soddisfare; i modelli messi in circolazione dai media sono artificiali. Programmi spazzatura come “Beautiful” propongono dei non valori, modelli di vita totalmente artificiali che entrano profondamente nella psiche profonda, anche in forma subliminale, e quando poi vengono applicati, anche inconsciamente, si creano impossibilità di convivenza, impossibilità di cooperazione, perché magari si pretende che il coniuge corrisponda a certi pesudo-modelli di uomo e di donna. L’interesse delle industrie, gli interessi economici, gli interessi della politica bombardano pesantemente e contribuiscono alla formazione di modelli che rendono la convivenza e in generale il mondo delle relazioni molto difficile. Comunque, come dico spesso, la massa è solo un concetto astratto, esistono gli individui e la società, che è costituita dall’interazione di individui. Dunque dobbiamo sempre partire da noi stessi, migliorando la nostra attitudine e il nostro personale comportamento. Agire bene rende anche sani e mantiene la persona più longeva possibile. Circa venti anni fa, feci una trasmissione radio il cui titolo era: “Essere onesti conviene”. Detti volutamente alla trasmissione un titolo provocatorio, perché volevo collegare il punto di vista economico a quello sociologico, a quello medico, a quello psicologico, sociologico e spirituale. Una persona che agisce in maniera scorretta crea una serie di conflitti prima di tutto intrapersonali, poi anche sul piano interpersonale e dunque sociale. Perciò, aiutando le persone a seguire con rettitudine i princìpi attraverso i quali ci si può armonizzare con l’ordine cosmico e quindi con la volontà divina, significa sicuramente aiutarle anche in ogni ambito dell’esistenza secolare. Se analizziamo in maniera approfondita i principi di yama e niyama, che si trovano riassunti nei quattro principi regolatori della tradizione Vaishnava, possiamo constatare come implichino ed aiutino a sviluppare un alto livello di igiene psicofisica, e di riflesso anche sociale. Gli strumenti per migliorare la nostra esistenza anche in quest’era e in questa società ci sono tutti, basta applicarli con rigore ed elasticità al tempo stesso.

31 maggio 2009

'Introduzione alla Sociologia e ai Rapporti Interpersonali (Parte Seconda)' di Shriman Matsyavatara Prabhu.

DOMANDA: Nelle Scritture vedico-vaishnava si legge di personalità che avevano grandi responsabilità, non solo della propria famiglia, ma addirittura di interi regni, di milioni di persone. Mi sembra, però, che il loro esempio non sia immediatamente spendibile nella nostra vita quotidiana, ma forse semplicemente perché loro erano loro e io sono io.
No, anche per ragioni molto più pratiche. Allora la società era organizzata in un modo, oggi è organizzata in un altro. I profeti della Bibbia convivevano in maniera pacifica con una società che accettava la schiavitù come norma comune. Oggi la schiavitù non viene accettata, per cui certi discorsi di allora, se tu li facessi oggi saresti profondamente criticato, e magari anche accusato e condannato. Dunque, dobbiamo sempre tenere in grande considerazione il tempo, il luogo e la circostanza in cui ci troviamo, non possiamo applicare fatti e norme di milioni di anni fa, o di decine di milioni di anni fa, o anche solo di alcuni secoli fa, in un contesto sociale profondamente mutato. Questo è un principio fondamentale: molti errori sono stati fatti nella storia e nella società e nelle singole istituzioni da chi non ha saputo rinnovarsi, da chi ha preteso di applicare in maniera cristallizzata, senza il minimo discernimento e mostrando scarsa lungimiranza, principi, valori, ideali che evidentemente non erano più adatti alla situazione storico-culturale del presente. La società arya, la civiltà dei Veda, era fondata su una concezione sociale straordinariamente aperta e, contrariamente a quanto dicano gli studiosi occidentali, che hanno frainteso molto, l’organizzazione sociale di allora era veramente avanzata, straordinariamente flessibile, non irrigidita nelle caste dell’India odierna. Due dispositivi sociali che permettevano tale flessibilità erano quelli di dharma e svadharma. Dharma era l’ordine universale, l’ordine cosmico, ritam, un ordine immutabile, riconosciuto e rispettato da tutti. Regole fondamentali cui tutti sono soggetti, dal re allo scudiero. Ma assieme al dharma, c’era lo svadharma, l’ordine individuale. Sva vuol dire “suo proprio”, quindi indica il dharma proprio di ciascun individuo. Per tornare all’esempio del re e dello scudiero, essi avevano in comune un dharma universale, il sanatana dharma; poi, per il loro ruolo specifico, seguivano un dharma individuale, lo sva-dharma. Anche a livello giuridico, la legge uguale per tutti è un principio che può suonare bene ma non funziona. E’ un prodotto della rivoluzione francese, un prodotto di tempi molto recenti, frutto di un’interpretazione molto entusiasta della democrazia, che comunque, come sistema di organizzazione sociale, ovvero di gestione politica della società, è probabilmente la soluzione che negli ultimi tempi ha fatto i danni minori. Diciamo che attualmente è il meno peggio. Dunque, questa divisione di ruoli e di doveri giustificava tutta una serie di comportamenti; c’erano valori assoluti, e c’erano valori relativi. Quelli relativi erano valori mobili, flessibili. Per fare un esempio: chi oggi ha un dovere da figlio, può essere che domani possa assumere quello di padre, quindi dovrà passare da un set di principi ad un altro. Allora il punto qual è? Che se facciamo nostra una visione ad ampio spettro, vediamo che la differenziazione è qualcosa di vantaggioso. Ammesso, però, che ci sia un polo che unisce tutte le tendenze e che obbliga tutti a dei doveri comuni, universali, perché troppa differenziazione senza un elemento unificatore genera una società schizofrenica, anarchica, sbandata, un po’ come quella di oggi. E d’altra parte una società troppo centralizzata, che differenzia troppo poco, è soffocante e genera disastri; pensate, ad esempio, al tracollo di sistemi come l’Unione Sovietica. Dobbiamo infine considerare l’organizzazione dei sottogruppi, visto che esiste un ordine ma anche un sub-ordine. Tradizionalmente, ad esempio, il matrimonio riguardava un determinato comparto sociale, comparto che ovviamente aveva regole diverse rispetto ad un altro. L’attuale organizzazione sociale è vittima di estremismi: in alcuni casi - pensiamo al fenomeno delle caste - questi comparti si sono sclerotizzati e sono diventati compartimenti stagni che non aiutano certo l’evoluzione individuale e sociale; in altri casi, probabilmente più frequenti, tutto si mescola e si sovrappone, in una confusione pressoché totale di ruoli, di doveri e funzioni. La storia upanishadica di Satyakama Jabala, è autorevole testimonianza di come siano le qualità individuali, quelle derivanti da guna e karma, “tendenza ed esperienza” a porre una persona in una situazione sociale piuttosto che in un'altra. Il bimbo, figlio di una shudra, una donna che aveva lavorato in molte case ed era rimasta incinta da un padre sconosciuto, aveva qualità luminose. Attratto alla realizzazione spirituale si recò di sua spontanea volontà presso la gurukula di un guru famoso, e chiese di ricevere l’iniziazione, che al tempo veniva concessa soltanto ai membri delle tre classi superiori (vaishya, kshatriya e brahmana). Quando il guru chiese al bimbo chi fosse suo padre, egli rispose che non lo sapeva, perché la madre aveva frequentato molti uomini. In questo modo Satyakama - il cui nome significa infatti ‘amore per la verità’ - mostrò di avere una fondamentale qualità tipicamente brahmanica, la veridicità; per questo motivo il Maestro ben volentieri gli concesse l’iniziazione, impartendogli insegnamenti che lo avrebbero portato a diventare guru a sua volta. Questo a dimostrazione che il principio delle caste non pertiene all’India della tradizione e che le qualifiche esteriori degli individui, i cognomi, le casate, il livello culturale, ci dicono fino ad un certo punto; poi dobbiamo andare a vedere dentro che cosa c’è. Per tornare ad oggi, chi sono i rappresentanti della famiglia reale? Sono persone che sono nate in una famiglia reale, ma evidentemente non hanno le qualità per guidare una nazione e per farsi carico delle responsabilità che scaturiscono da un ruolo simile. Assistiamo infatti ai loro numerosi disastri, alle loro mancanze, alle loro debolezze di carattere. La nobiltà non si eredita, o c’è o non c’è. Nel Mahabharata molto ci dice l’analisi dei caratteri di Yudhisthira e di Duryodhana. Il primo aveva un carettere ideale, da monarca perfetto; il secondo si ritrova a governare solo per ambizione propria e per debolezza del padre, ma la sua malvagità e la sua sete di onori e di ricchezze personali sfoceranno nella famosa guerra di Kurukshetra. Quindi non c’è discrepanza, non c’è sconnessione tra struttura sociale e impostazione caratteriale. Quando questa frattura c’è si sviluppano molti problemi, sia a livello individuale che a livello di corpo sociale. Per risolvere le nostre debolezze e le nostre lacune caratteriali dobbiamo lavorare sui punti di forza ed applicare una sadhana, una disciplina, che ci consenta di sviluppare le nostre facoltà latenti. Questo è stato il tema di due seminari che ho tenuto di recente. Il carattere può essere modificato e migliorato: lo si fa con impegno e costanza, e soprattutto lo si può fare con la guida di chi certe lacune le ha già colmate o non le ha mai avute. I singoli individui vanno sviluppati secondo le linee-guida della loro personalità. Questo è un punto centrale. Una persona incline al canto va fatta cantare. Una persona incline allo studio deve essere incoraggiata a studiare. Una persona incline a coltivare e a curare le piante, va incoraggiata a procedere in quella direzione. Tutti devono essere favoriti nelle loro inclinazioni, e mentre si favorisce si deve anche correggere ciò che è sbagliato, anche in quella stessa inclinazione. Facciamo un esempio: una persona vuole educare i bambini, ma assieme a questa inclinazione soffre di un grave difetto del carattere: è autoritaria. L’autoritarismo è una vera e propria nevrosi, per cui il lavoro che si deve fare consiste nel recuperare, nel bonificare la tendenza positiva ad educare, e nel contempo guarire la nevrosi dell’autoritarismo. Questo si fa contemporaneamente, senza creare scissioni nella personalità dell’individuo, che si può curare solo mantenendo l’integrazione di tutte le sue parti della personalità e soprattutto trattandolo con rispetto ed affetto autentici. Colgo l’occasione per dire un’altra cosa che ritengo importante. Anche quando dobbiamo redarguire qualcuno, non dovremmo mai farlo con collera o risentimento, perché una simile attitudine genera inimicizia. Se lo si fa in maniera insensibile, senza tener conto delle circostanze non solo esterne ma anche interiori all’individuo, ciò che si ha è una sostanziale non accettazione della correzione. Se invece, in maniera lucida ed obiettiva, con affetto, con rispetto, vengono fatte notare parti difettose del carattere o dell’azione, salvaguardando tutto quello che di positivo c’è, di solito, prima o dopo, la correzione viene accettata con conseguente rafforzamento della relazione tra i due individui.

DOMANDA: Qual è influenza dei guna sul carattere e nelle relazioni?
Determinante. Esistono innumerevoli categorie di tipi psicologici. Jung ne ha individuati quattro che poi diventano otto, ma potremmo andare avanti in una progressione geometrica fino ad arrivare alle famose quattrocentomila specie umane di cui parla il Vishnu Purana. Nella Bhagavad-gita Krishna spiega che a seconda di come le persone si predispongono nei confronti delle influenze della natura, sviluppano un particolare carattere piuttosto che un altro. Ci sono diversi shloka che potremmo citare per fare una ricerca approfondita. Uno è quello cui mi riferivo prima: catur varnyam maya shrishtam guna karma vibhagashah(1): guna e karma, come già detto, sono i fondamenti per la definizione dello status e del ruolo sociale. Particolarmente significativo è comunque il XIII.22: karanam guna sangasya sad-asad yoni janmasu. A seconda di come un soggetto si predispone nei confronti della prakriti, della materia, del mondo, delle cose, delle relazioni, sviluppa un guna piuttosto che un altro, e a causa di questo contatto con i guna rinasce in un modo o in un altro, raccogliendo sat e asat, il bene e il male conseguentemente a come si è posto di fronte alla vita. Uno dei punti più controversi, che ha contribuito non poco a rendere deludente la tecnologia della psicanalisi, soprattutto quella di origine freudiana, è che si sono volute ricercare tutte le cause dei disturbi della personalità all’interno di una stessa vita, cosa inaccettabile da tutti i punti di vista. Così si sono creati ed acuiti rapporti conflittuali con i genitori, con i fratelli, con l’educazione di origine, con i giochi di infanzia, perché a tutti i costi la genesi di un disturbo mentale doveva essere trovata in quella vita. Ma la conoscenza vedica ci insegna ben altro, ovvero che le nostre condizioni attuali sono un’eredità del nostro passato, che può essere recente ma anche molto remoto. La causa a monte è, come spiega lo shloka appena citato, la modalità con cui l’essere si pone di fronte alla materia, dovuto all’influenza dei guna che subisce. Questo va a determinare la gioia o il dolore, la fortuna o la disgrazia. Dove? Janma, nella vita successiva. Per cui la persona nasce con tutto un imprinting che è già il suo. Ci può essere comunque sempre una trasformazione, un’evoluzione: cambiare, dirigersi verso l’alto è facoltà dell’umana persona; come Dante fa dire al suo Ulisse: “Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza”.

(1) B.g. IV.13

DOMANDA: È giusto suggerire ad una donna di risposarsi anche se ha già figli? Inoltre: il suo rifugio è solo il marito, o anche il maestro spirituale?
Partendo dall’ultima domanda: la figura del marito e quella del guru non dovrebbero mai essere sovrapposte, a parte nei rari casi in cui una donna ha per marito un guru o una persona illuminata - com’era ad esempio il caso di Maitreyi nei confronti di Yajnavalkya. Il maestro spirituale può offrire un certo tipo di riferimento, ma certi bisogni di tipo sociale una donna con figli può decidere di assolverli da sola, oppure in compagnia di un marito. Certe volte per una donna sola è difficile educare i figli, specialmente i figli maschi che, giunti all’adolescenza, hanno un terribile bisogno del padre. Una donna particolarmente forte, e anche rara, può farcela anche da sola, con l’aiuto di una famiglia molto solidale. Nella società tradizionale c’erano i nonni, gli zii, i cognati, tante persone che costituivano una sorta di piattaforma di sostegno.La società moderna ha prodotto una famiglia molto debole. Lui e lei che vanno a vivere in un appartamentino, poi a causa di conflitti uno dei due rimane solo e la famiglia non c’è più, è disgregata. Molte famiglie di oggi sono costituite da individui fragili, che non hanno la capacità di sopportare le onde ripetute delle difficoltà. Venendo al punto io non vedo una grande soluzione nel ri-sposarsi; soprattutto quando ci sono figli a carico. Ma non si può porre un veto assoluto perché, come dicevo poc’anzi, esistono molte categorie umane, e tra queste ve ne sono molte fragili psicologicamente, che se non hanno la possibilità di ricevere un sostegno e un nuovo affetto crollano definitivamente, diventando pesi insostenibili per la società. Non possiamo emettere sentenze unilaterali assolute; la società di oggi non ce lo permette, in quanto si è frammentata a dismisura, creando tutta una serie di diritti-doveri che costituiscono una matassa inestricabile. Nella società tradizionale le persone vivevano per la maggior parte in campagna. In campagna spesso è sufficiente avere un orto per sopravvivere. A Milano centro, o nel cuore di qualsiasi altra città è difficile vivere con un orto. Al di là poi della sopravvivenza fisica dobbiamo anche sottolineare l’importanza della solidarietà e delle relazioni umane che nelle megalopoli, nelle metropoli superabitate e trafitte dalla solitudine, sono veramente rare. Dunque, quel che prima era inauspicabile, oggi può essere una dolorosa necessità, quasi da raccomandare, seppur non sempre e non senza avere conosciuto precisamente il caso in questione. Sul Maestro spirituale a volte si proiettano aspettative esagerate. Il Maestro spirituale ha una funzione metafisica, e deve aiutare nel mondo fisico per dirigere il viaggio verso la dimensione spirituale. Non è un consulente del lavoro, non è un consulente familiare, non è un consulente per i disturbi dell’infanzia. Tutto questo può essere sottoposto al guru, e questi può avere un’apertura mentale e una cultura eclettica tali da poter aiutare in numerose occasioni; ma deve essere compreso che quell’aiuto non è per accomodarsi nel mondo materiale, è per superarlo e trascenderlo. Dunque, non si dovrebbe appesantire inutilmente il Maestro spirituale, quando altri possono risolvere problemi di loro specifica competenza. Spesso i problemi delle persone sono generati da loro stessi, soprattutto da pretese che nessun uomo o donna potrebbe mai soddisfare; i modelli messi in circolazione dai media sono artificiali. Programmi spazzatura come “Beautiful” propongono dei non valori, modelli di vita totalmente artificiali che entrano profondamente nella psiche profonda, anche in forma subliminale, e quando poi vengono applicati, anche inconsciamente, si creano impossibilità di convivenza, impossibilità di cooperazione, perché magari si pretende che il coniuge corrisponda a certi pesudo-modelli di uomo e di donna. L’interesse delle industrie, gli interessi economici, gli interessi della politica bombardano pesantemente e contribuiscono alla formazione di modelli che rendono la convivenza e in generale il mondo delle relazioni molto difficile. Comunque, come dico spesso, la massa è solo un concetto astratto, esistono gli individui e la società, che è costituita dall’interazione di individui. Dunque dobbiamo sempre partire da noi stessi, migliorando la nostra attitudine e il nostro personale comportamento. Agire bene rende anche sani e mantiene la persona più longeva possibile. Circa venti anni fa, feci una trasmissione radio il cui titolo era: “Essere onesti conviene”. Detti volutamente alla trasmissione un titolo provocatorio, perché volevo collegare il punto di vista economico a quello sociologico, a quello medico, a quello psicologico, sociologico e spirituale. Una persona che agisce in maniera scorretta crea una serie di conflitti prima di tutto intrapersonali, poi anche sul piano interpersonale e dunque sociale. Perciò, aiutando le persone a seguire con rettitudine i princìpi attraverso i quali ci si può armonizzare con l’ordine cosmico e quindi con la volontà divina, significa sicuramente aiutarle anche in ogni ambito dell’esistenza secolare. Se analizziamo in maniera approfondita i principi di yama e niyama, che si trovano riassunti nei quattro principi regolatori della tradizione Vaishnava, possiamo constatare come implichino ed aiutino a sviluppare un alto livello di igiene psicofisica, e di riflesso anche sociale. Gli strumenti per migliorare la nostra esistenza anche in quest’era e in questa società ci sono tutti, basta applicarli con rigore ed elasticità al tempo stesso.