31 gennaio 2009

'La Crisi del Giorno Dopo' di Shriman Matsyavatara Prabhu.

Da una lezione tenuta il 26 Luglio 2004.

Voglio descrivervi un fenomeno della coscienza che ho visto in atto più volte e di cui ho dovuto occuparmi spesso nel corso del tempo. È un fenomeno rilevante, al quale dovreste prestare molta attenzione. Se non vi ponete la giusta attenzione, infatti, neppure sarete in grado di scorgerlo, soprattutto nel caso in cui voi stessi ne siate vittima, come avviene per tutti i condizionamenti, che tanto più sono inconsci quanto più condizionano. Vi ho già parlato altre volte di questo fenomeno, che io chiamo 'la crisi del giorno dopo'. E’ la crisi che può sopravvenire dopo che una persona ha sperimentato un momento di profonda analisi introspettiva. Tale momento di analisi e di elaborazione rappresenta l’inizio di un cammino in ascesa, in cui l’individuo trova il coraggio di mettersi in discussione affrontando momenti traumatici e dolorosi in vista del raggiungimento di un livello più elevato di consapevolezza ed una migliore capacità di gestione delle proprie dinamiche interiori, presupposti indispensabili per sperimentare una felicità piena e duratura già insita dentro di noi. Qualcuno potrebbe sorprendersi e chiedersi come e perché, a seguito di questo evento completamente positivo, si possa entrare in crisi; io vi suggerisco di non sorprendervi ma di cercare di capire. La cosiddetta 'crisi del giorno dopo' ha un suo corrispondente, seppur per ragioni ben diverse, anche nel contesto mondano: ci sono ad esempio persone che, dopo aver ricevuto un’eredità inaspettata o aver fatto grosse vincite alla lotteria, superato l’iniziale periodo di eccitazione, entusiasmo ed euforia, piombano nell’ansietà ed entrano in crisi. Altri lavorano a lungo e con molti sforzi, impegnando e sacrificando tutto quel che hanno per fare carriera, spesso a costo anche di pesanti compromessi ed umiliazioni e, dopo aver ottenuto il posto di lavoro tanto agognato, magari dopo anni e anni di pene e fatiche, vengono improvvisamente colti, proprio mentre sperimentano il successo, da rimorsi, inibizioni, paure, emozioni e pensieri distruttivi. Fino a che si tratta di una fenomenologia legata ad esperienze e successi mondani, vissuti sul piano relativo e fugace dell’immanenza, voi giustamente penserete: 'E’ normale, è evidente che non si possa trarre duratura e reale soddisfazione da tali apparenti successi, concepiti come fini a se stessi, relegati al mondo dell’impermanenza ed esperiti senza vera consapevolezza spirituale'. Ciò che intendo spiegarvi ora è che questo fenomeno, seppur con altre modalità e per ragioni totalmente diverse, può verificarsi anche nel caso di realizzazioni interiori: può capitare esattamente quando, in un percorso di ricerca, la persona non si è ancora liberata da componenti fortemente condizionate della personalità, come è nel caso di chi sta iniziando un’esperienza di crescita, cioè quando non si è totalmente sganciata da alcune pesanti tendenze egoiche, che possono tornare ad emergere nei momenti più inaspettati. Quando si vive una realizzazione interiore si assapora una gioia intensa, consapevolezza, realizzazione, pace profonda e leggerezza. Accade però che, benché la persona si senta sollevata, ispirata e felice dopo aver vissuto un’esperienza benefica di analisi ed elaborazione, che rappresenta appunto l’inizio di un percorso di purificazione, non raramente tornino all’attacco i fantasmi delle proprie sub-personalità, con quelle caratteristiche e tendenze involute del carattere che ancora non sono state totalmente superate, con energie affettive, emotive e psichiche non ancora ben canalizzate e sublimate. Queste tendenze negative infatti non scompaiono completamente e definitivamente nel momento in cui si inizia un lavoro di pulizia interiore, ma permangono in potenza, come semi nell’inconscio. Quanto alla fenomenologia del successo, la si può spiegare anche dal punto di vista della psicologia sociale, analizzando aspetti per molti versi più facilmente comprensibili rispetto a quelli esoterici sopra accennati. Determinante e fondamentale è l’immagine che un individuo ha di se stesso: spesso accade che, dopo aver conseguito un successo, l’individuo manchi di reinterpretare e di modificare, sulla base di tale successo, l’immagine che egli ha di sé. Se le esperienze di successo non trasformano la percezione di noi stessi, sarà quest’ultima a prevalere nel trasformare la realtà delle cose attorno a noi e la natura degli eventi, specie di quelli in corso. Possiamo studiare il caso di una persona che attribuiva tutti gli insuccessi e le sfortune della propria vita ad una sua menomazione fisica, un suo incedere claudicante. Decise di sottoporsi ad operazioni chirurgiche costosissime e dolorose a seguito delle quali, dopo circa quattro anni di interventi ravvicinati in vari ospedali europei, l’arto venne perfettamente riabilitato. Passati i primi momenti di euforia, la persona venne però nuovamente colta da un senso profondo di solitudine e depressione, ancora più nero e greve del precedente. Questo perché l’immagine mentale che lui aveva di sé stesso era ancora claudicante e sappiamo che lo stato interiore, ovvero l’immagine inconscia che uno ha di sé è molto più forte, molto più potente e carica di energia di quella esteriore così come percepita dagli altri o dal soggetto stesso allo specchio. Non è facile riuscire a modificare l’immagine inconscia che abbiamo di noi stessi, in quanto quest’ultima si nutre di samskara, di cicatrici emotive profonde, e spesso di complessi che tendono a radicarsi e a permanere nel tempo. Se una persona ha tendenza a mentire e si è fatta quest’immagine di sé, anche dopo che sarà riuscita ad abbandonare quella cattiva abitudine, continuerà a vedersi come bugiarda, nonostante quel che potranno dirle gli altri. Per portare un altro esempio: l’idea di essere una persona inaffidabile può permanere anche dopo che il soggetto abbia acquisito maggior senso di responsabilità e del dovere, cioè anche quando agli occhi degli altri sarà reputato affidabile; occorre che sia lui stesso a realizzarlo intimamente, nel profondo. Tutte le tradizioni, e in particolar modo quella indovedica, descrivono simbolicamente tre piani esistenziali: bhur, i pianeti inferiori; bhuvah, i pianeti mediani; svaah, l’esistenza elevata o cieli. Nella psicologia indovedica questi tre livelli corrispondono rispettivamente all’inconscio, alla sfera conscia ed al superconscio. Nell’individuo sappiamo che i condizionamenti e dolori provengono per la maggior parte dall’inconscio, che deve essere bonificato attraverso la forza che traiamo dalle convinzioni e dalle cariche emotive positive, le quali riemergono quando accediamo alle vette luminose della supercoscienza. Mentre un 'pensiero in corso' – vritti in sanscrito - , con il soggetto che pensa e parla al presente, è alla portata della coscienza razionale e pertanto più facilmente modificabile, i 'pensieri pensati' – samskara - scivolano nell’inconscio e lavorano subdolamente all’insaputa del soggetto. I samskara, o pensieri inconsci, possono essere radicati a diversi livelli: quando sono situati meno in profondità risultano ovviamente più facilmente rievocabili nella forma di ricordi. Vi sono poi samskara molto meno accessibili, dai quali derivano cattive abitudini estrememante difficili da estirpare, anche quando la persona in alcuni momenti di visione e lucidità ne diventa in parte consapevole. Infine vi sono samskara e tendenze che un soggetto non riesce assolutamente a vedere, a riconoscere, poiché hanno radici molto profonde, come se fossero inserite nel proprio patrimonio genetico. Tuttavia, attraverso un percorso guidato di analisi interiore, visualizzazione e meditazione, anche tali samskara possono essere individuati, conosciuti, indotti a ritornare vritti, cioè in pensieri correnti, restituendo al soggetto la capacità di gestirli, trasformarli e sublimarli, recuperando la carica energetica che essi avevano assorbito ed inglobato. Come accedere a tali profondità della mente? La radice verbale dhi della parola sanscrita dhyana, meditazione, significa per l’appunto ‘pensiero profondo’, ovvero capacità di accesso ad un campo energetico generalmente non penetrabile dall’individuo in uno stato di coscienza ordinario. Meditazione non vuol dire evasione dal mondo. La meditazione autentica ispira e motiva azioni nel mondo ed è in grado di risolvere problemi reali, di sciogliere i nodi che si sono creati nella mente. La meditazione autentica risolve i problemi in pratica, non li evade, non li rimuove. Si nutre della consapevolezza della matrice spirituale di tutte le cose e della comprensione dei fenomeni più sottili della psiche, di come si aggrovigliano o si inceppano le menti e di come è possibile farle ripartire, riattivarle, purificarle. Ogni emozione, ogni pensiero, ogni esperienza vissuta, crea una nuova immagine di sé perché la struttura psicologica si modifica: si accendono nuove luci, nuove sinapsi modificano la chimica cerebrale. Le esperienze spirituali lasciano potenti tracce che trasformano la personalità in maniera supremamente benefica. Ma la persona è sempre posta di fronte ad una scelta: interiorizzare e far sempre più sua la nuova immagine di sé, oppure ripiegarsi, riappiattirsi sulla vecchia, con la quale ormai ha acquisito una malata familiarità. Ci sono detenuti che, usciti dal penitenziario e messi nuovamente in libertà, si spaventano e rimpiangono la loro cella, perché si sentono disorientati nel mondo dei liberi; sono confusi, non trovano appigli e non sanno dove andare. Sono intimoriti dal mondo delle responsabilità, dove si debbono assumere ruoli, doveri, dove occorrono impegno e creatività. Questa è una realtà poco raccontata, ma è ciò che veramente accade, altrimenti non esisterebbero persone che continuano a vivere in famiglie infernali o che svolgono lavori abbruttenti. Perché ci sono? Perché molte persone hanno paura del nuovo e preferiscono sviluppare una nevrosi pur di rimanere nella situazione cui oramai sono abituati. Solo in virtù di una protezione superiore e di un’ispirazione divina possiamo riuscire a modificare i nostri paradigmi e a sottrarci alle reti dell’illusione. Appellandosi esclusivamente alle proprie forze individuali sarebbe impossibile penetrare le oscurità dell’inconscio ed elevarsi alle vette luminose della supercoscienza; è indispensabile affidarsi ad una guida superiore, alla propria Istha Devata o Divinità prescelta, alla quali legarsi in intimità e fiduci: il canto di mantra, la visualizzazione e la meditazione ci permetteranno di entrare nel campo energetico della Divinità in uno scambio d’amore che ci sosterrà nella presa di coscienza ed elaborazione di samskara depositati nell’inconscio da tempo immemorabile. Studio da anni le dinamiche della coscienza e del comportamento umano e posso dire che per questo fenomeno della 'crisi del giorno dopo' ci sono rarissimi rimedi, a meno che il soggetto non attivi una consapevolezza superiore che può trasformare e riarmonizzare anche l’immagine interiore. Occorre una disciplina etica e spirituale (sadhana bhakti), con un impegno serio e continuativo sotto la guida di un Maestro esperto e competente, attento anche agli aspetti apparentemente più marginali della coscienza e del comportamento. Quest’immagine interiore non si riesce neppure a scalfire, tanto meno a modificare, se non si attiva una potenza spirituale, legata alla nostra essenza o natura più intima. Tutte le qualità dell’anima vanno rievocate e devono diventare il nostro stile di vita sublimando le tendenze psichiche negative. In ogni momento la persona dovrebbe nutrirsi di immagini elevate, legate alla sua identità profonda, imparare a percepirsi in quella identità, trascendendo i tratti vincolanti della personalità egoica. Come dovrebbe vedersi allora una persona? Certo non dovrebbe valutarsi dall’immagine di sé stessa che vede riflessa nello specchio, un’immagine non ha niente a che fare con il sé, che è solo una percezione temporanea, un’identificazione effimera, un’immagine che non permane nel tempo, e che non sarà più la stessa dopo vent’anni. E nemmeno la persona dovrebbe valutarsi sulla base dell’immagine inconscia che ha di sé, la quale è l’esito di superfetazioni egoiche e di condizionamenti che si sono stratificati sull’identità vera, la natura eterna e spirituale dell’essere, costituita di puro Amore e luminosa Consapevolezza. Dobbiamo ricercare la nostra identità a livello profondo e i nostri strumenti principali di ricerca e di elevazione saranno la compagnia di persone sagge, la guida e gli insegnamenti di un Maestro competente, l’impegno in una pratica di elevazione costante. Senza questi strumenti, che ricollegano al Divino ed operano trasformazioni supremamente benefiche e profonde nella coscienza, risulterebbe quasi impossibile modificare definitivamente quell’immagine condizionata ed inconscia che abbiamo sviluppato di noi stessi, gravida di paure, di complessi di colpa, di cicatrici emotive, di rancori e rimorsi. Le immagini interiori sono la matrice dell’azione, sono il seme di quel che si manifesta all’esterno. Se uno intimamente pensa: “E’ inutile, non ce la farò mai, sono fatto così, quando mai riuscirò a vincere le mie tendenze!” inevitabilmente andrà incontro ad un fallimento: il fallimento immaginato diventa reale, perché siamo noi che modifichiamo e creiamo la nostra realtà con i nostri pensieri, con la potenza della visualizzazione, con l’energetica del desiderio o della paura, con l’immagine che ci saremo fatta di noi stessi. Pensiamo a coloro che vivono esperienze di grande successo spirituale. Queste esperienze talvolta possono risultare contrastanti con l’immagine che un individuo ha di sé, magari di persona insicura, debole, troppo dipendente dalle opinioni altrui. Se questa immagine di sè non cambia, il successo esterno sarà seguito da crisi e scompensi a livello interiore, perché i nuovi superiori equilibri sono tali solo quando sono raggiunti armoniosamente e stabilmente. Per evitare queste crisi, prima andrebbe creata ed affermata l’immagine interiore di come uno vorrebbe e dovrebbe essere. Se il lavoro sul carattere verrà fatto in profondità, allora la persona si troverà psicologicamente pronta quando un successo o una posizione migliore verranno raggiunti. Ci sono invece individui che s’impauriscono del proprio successo, perché interiormente non hanno ancora ben strutturato un’obiettiva e positiva immagine di se stessi. Solo se la persona sente che deve dedicarsi con il cuore, con l’anima, con tutta sé stessa, a realizzare la propria natura profonda, spirituale, ciò le permetterà di non ritornare schiava della vecchia immagine di sé, che persiste e si ostina ad allungare i suoi tentacoli per insinuarsi in ogni modo. I tentacoli sono le vecchie abitudini, gli scheletri del passato, i fantasmi della memoria. Ad essi dobbiamo contrapporre, con la pratica del potere creativo ed illuminante della meditazione e con la forza della visualizzazione interiore, immagini ed impressioni positive, che ci ricollegano a dimensioni elevate della coscienza. Come già spiegato, la prima protezione, il primo aiuto è costituito dagli insegnamenti, perché il primo problema da risolvere è sempre quello della conoscenza. La via per il successo è illuminata dalla conoscenza, quel sapere supremo che ci riconduce alla nostra natura spirituale e ci svela gli aspetti più sottili della realtà, i fenomeni più arcani e delicati della coscienza. Per Grazia divina abbiamo a disposizione tutto quel che ci occorre per modificare l’immagine che ci siamo fatta di noi nel corso di anni, di decenni, di vite passate. Ciascuno di noi è un mondo, con le sue memorie, le sue qualità, le sue bellezze, ma anche con le sue tragedie, i suoi orrori, ma con il potere di trasformare le immagini negative in positive. Non rimanete prigionieri del passato, non fatevi riagganciare da quelle immagini di voi che sono esito di vecchi errori commessi. La vita è rinnovamento continuo, è continua crescita. Contemplate la vostra immagine presente e miglioratela attimo dopo attimo, forgiatela con l’arte della conoscenza, attraverso gli insegnamenti dei testi sacri, del Maestro e delle persone sagge. La soluzione è sempre nel presente, perché passato e futuro non sono che mere astrazioni. Guardate al presente, nel presente ricercate le cause dei vostri successi e mettetevi al riparo da ciò che produce il fallimento, la tragedia. E’ fondamentale aver ben chiaro quali sono le attività che ci pongono in salvo, che ci fanno sperimentare il successo vero, non quello effimero, non quello che si trasforma in trappola mortale. Tale chiarezza di visione garantisce anche il mantenimento e l’espansione del successo, sia per i singoli che per i gruppi o le istituzioni. Fare un viaggio nelle profondità della psiche, come ben spiegano Patanjali e la Bhagavad-gita, implica che il soggetto si assuma la responsabilità della destrutturazione dei propri condizionamenti, innanzitutto proteggendo la sua salute psichica. Dobbiamo scegliere le impressioni con le quali nutrire la mente, dobbiamo acquisire ed interiorizzare concetti relativi al Reale, adottare un retto comportamento coerente alla conoscenza teorica e dirigere pensieri e desideri verso l’alto, oltre la sfera egoica. Questi comportamenti, migliorando la consapevolezza della persona, ci permetteranno di sviluppare anche un atteggiamento intelligente e costruttivo nei confronti dei vari ostacoli che comunque si presenteranno sul cammino: l’individuo saprà cogliere l’opportunità che ogni situazione difficile rappresenta per superare i propri limiti ed i propri condizionamenti. Occorre un cambio di paradigma nella coscienza: l’immagine dell’io deve pian piano armonizzarsi con quella del sé, attraverso una migliore realizzazione della realtà, una nuova e più matura presa di coscienza e assunzione di responsabilità. Più la consapevolezza del sé diventa forte, più questo cambio di paradigma diventa stabile e permanente. Abhyasa (pratica spirituale costante) e vairagya (distacco emotivo dal fenomenico) sono fondamentali per effettuare l’opera di trasformazione e ricostruzione interiore. Essi hanno una risonanza profonda nella coscienza e permettono un processo di evoluzione che nel tempo diventa sempre più consapevole e sempre più spontaneo.
Ad ogni passo occorre stare all’erta, perché anche un piccolo errore o una minima distrazione, se non risolti o curati in tempo, possono aggravarsi e compromettere la nostra crescita e realizzazione spirituale. Il successo di oggi non garantisce il successo di domani: lo favorisce ma non lo garantisce. Ogni giorno dobbiamo cominciare da capo, con ancora più entusiasmo di ieri, a lavorare sul nostro carattere, migliorando e perfezionando le qualità che già abbiamo e sviluppando le nostre facoltà carenti. Non partiremo ogni volta da zero: ogni giorno ritroveremo il capitale messo da parte il giorno precedente, un capitale che però va custodito, incrementato, rinnovato. Ogni giorno, prima dell’alba, i brahmani cantano inni e celebrano il sacrificio al deva del sole; questo sacrificio rinnova nell’universo il sorgere della luce. I testi vedici spiegano che tutto quel che di positivo avviene, è possibile in forza del sacrificio, attraverso il quale l’uomo si ricollega al Divino. Se vogliamo che tutti i giorni sorga nuovamente il sole della nostra coscienza, tutti i giorni dobbiamo rinnovare e portare avanti il nostro impegno nel Dharma, nel bene, verso le vette luminose dello Spirito. Se abbiamo questa consapevolezza e visione del mondo sperimenteremo il successo, quello vero, e saremo anche in grado di mantenerlo nel tempo, senza il rischio di cadere vittime di euforie, di eccitazioni egoiche o di altri pericolosi trabocchetti della mente condizionata. I saggi vedici hanno spiegato che la realizzazione, la felicità e il successo sono nostre caratteristiche naturali, intrinseche; in un certo senso infatti, l’anima è già proprietaria di tutto perché è tutt’uno con Dio, con il Creatore, Bhagavan, in qualità non differente da Lui anche se in shakti incommensurabilmente meno potente. La consapevolezza di ciò è di per sé una garanzia di successo, con l’impegno imprescindibile di fare ottimo uso di tutte le risorse a nostra disposizione. Se ne abusiamo il disastro è sicuro, in particolar modo se abusiamo di persone, della fiducia degli altri. Le leggi del Dharma ci distruggerebbero. Non dobbiamo abusare neanche degli alberi o di un fiore; non dobbiamo abusare di niente, ma vedere tutto come parte di Dio e porre ogni cosa al Suo servizio. Se avremo questa coscienza, anche se arrivassero risorse enormi sapremo impegnarle totalmente e con pieno successo, offrendole in sacrificio per il bene di tutti gli esseri. Pensate invece ai danni che arrecano coloro che hanno mezzi ma non hanno una coscienza elevata: vengono in possesso di qualcosa e pensano di esserne i proprietari assoluti, egoisticamente vogliono sfruttare quella sopravvenienza attiva a loro esclusivo vantaggio, magari anche a scapito degli altri. A causa delle loro motivazioni contaminate, non conoscendo la scienza dell’azione, essi producono sofferenza e fallimenti, prima di tutto a se stessi, e poi la morte irrimediabilmente arriva e porta via tutto, anche gli apparenti successi mondani e le vane e fugaci illusioni. I desideri intensi muovono le cose e trasformano la realtà. Come la persona desidera essere, così diventa. Chi però ha ambizioni meramente egoiche non raggiungerà un successo reale: il suo apparente successo prima o poi si trasformerà in disgrazia. La gestione non matura delle risorse e della potente energetica del desiderio, produce squilibri e crisi profonde. Ogni uso improprio, ogni spreco, è causa di fallimento personale. Tutto quel che abbiamo: cose, affetti, talenti, va utilizzato allo scopo di riconnettersi alla matrice profonda di origine divina, senso e fondamento del nostro esistere; se ciò non avviene, spiega Shrila Rupa Gosvami, uno dei più grandi Maestri della Tradizione Vedica, tutto s’inquina e si trasforma in veleno. Mettere tutte le nostre risorse al servizio della Istha Devata alla quale siamo intimamente collegati, fa la perfezione dell’esistenza (yukta vairagya). Ambarisha Maharaja era padrone del mondo, però non lo guardava per il proprio godimento egoistico ma come strumento per servire Dio. Per svolgere bene quella funzione occorrevano maturità e consapevolezza, poiché chi dispone di così tante energie può fare grandi opere di bene ma, se non ha cura e motivazione pura nel loro utilizzo, può provocare grossi danni ed arrecare molto male al prossimo e a sé stesso. Le risorse più preziose, da mai trascurare, sono le persone, con i loro desideri di progresso, con i loro aneliti di bene, con i loro progetti, con la loro ricerca di realizzazione. Non dovremmo permetterci di sprecare neanche la minima parte delle loro energie, favorendo invece concretamente e in ogni momento la loro convergenza, canalizzazione e sublimazione, verso motivazioni elevate di vero bene, di vero successo. E’ importante saperci preparare e predisporre al successo, così non ci capiterà di ritrovarci a viverlo da sprovveduti, magari semplicemente perché altri ci hanno permesso di salire su di un vascello che conduce al successo; se così fosse non potremmo rimanere a lungo a bordo; la prima ondata di maya (confusione, illusione) ci tirerebbe giù, ci spazzerebbe fuori bordo. Maya è potentissima e, nei momenti di successo, sembra attivarsi ancora di più, diventando più potente, mettendoci alla prova nelle nostre motivazioni più profonde. Il successo ci consente di avere più risorse e mezzi a disposizione, più energie da spendere e da gestire: se però non si é ancora sufficientemente maturi, è facile in quei momenti fare investimenti sbagliati, puntando ad obiettivi fasulli e così, con un’energia potente mal utilizzata, andiamo veloci verso una meta che però non è quella giusta, quella che noi intimamente cerchiamo; meglio sarebbe stata non averla mai avuta. Per mantenere qualcosa stabilmente occorre prima maturare le condizioni coerenti e necessarie. Il successo stabile infatti non è mai frutto di un colpo di fortuna, é l’esito di una serie di sforzi coscienti e coordinati, mirati alla realizzazione del sé. Del resto voi sapete che nella vita le opportunità ci sono per tutti ma solo chi é pronto riesce a coglierle. Il segreto per ottenere il successo è desiderare e attivarsi per favorire il successo altrui. La compassione, la benevolenza, la generosità, il desiderio di vedere gli altri realizzati e felici nelle loro aspirazioni elevate è la via più rapida per il nostro successo. E’ segno che stiamo procedendo nella direzione giusta quando il successo degli altri ci é caro quanto il nostro. Fino ad allora dobbiamo lavorare duro sul nostro carattere per vincere le tendenze egoiche autodistruttive, quelle proiezioni illusorie della mente che ci fanno sentire separati e diversi dagli altri. Il nostro successo è portare altri al successo, ecco perché il sentimento della compassione è così importante, potente, prezioso, quanto lo è quello della gratitudine nei confronti di chi ci guida con i suoi insegnamenti e con il suo esempio verso l’elevazione e la luce. Adesso meditate, riflettete: se avete ascoltato con attenzione, con cuore aperto, molti di questi concetti si scolpiranno vividi nella vostra memoria e diventeranno vostro patrimonio eterno, che potrete condividere con gioia con tutti coloro che vorranno.

30 gennaio 2009

'La potenza del nome di Krishna' di Sua Divina Grazia A.C. Bhaktivedanta Swami Prabhupada.

Cantare il nome del Signore purifica la nostra coscienza contaminata, origine di tutti i nostri problemi.

Una lezione tenuta a Montreal in Canada il 15 Giugno 1968 da Sua Divina Grazia A.C. Bhaktivedanta Swami Prabhupada Fondatore Acarya dell’Associazione Internazionale per la Coscienza di Krishna.

Il movimento per la coscienza di Krishna ha lo scopo di risvegliare la nostra coscienza originale. Ora, a causa della nostra lunga associazione con la materia, la nostra coscienza si è contaminata, proprio come la pioggia si contamina quando cade dalle nuvole. Originariamente l’acqua è pura, distillata, ma appena cade sulla terra si mescola con molte cose sporche. Nello stesso modo, originariamente, come anime spirituali, la nostra coscienza è incontaminata, ma a causa della nostra attuale associazione con la materia, diventa contaminata; perciò vi sono molti tipi di coscienza. La discordia fra le persone è dovuta alla contaminazione delle coscienze. Io penso in un modo, tu pensi in un altro. Perciò non siamo d’accordo; ma originariamcnte la tua coscienza e la mia erano una sola. Cosa significa 'una sola'? Coscienza pura è pensare: 'Dio è grande ed io sono il Suo eterno servitore. 'Questa è coscienza pura. Non appena vogliamo imitare Dio o divenire artificialmente uno con Lui, inizia la contaminazione. Un verso bengali afferma:

krisna-bahirmukha hana bhoga-vancha kare
nikata-stha maya tare japatiya dhare

'Quando un’anima individuale dimentica la sua eterna relazione con Dio e cerca di dominare la natura materiale, questa condizione di oblio è chiamata maya o illusione'. Perciò ora, specialmente in quest’era, la dimenticanza della nostra etema relazione con Dio è molto forte, ma cantando il suono trascendentale Hare Krishna, il primo risultato è che il nostro cuore o la nostra mente sono purificati da ogni tipo di sporcizia. Questa non e un' affermazione teorica: è un fatto. Non è difficile cantare il maha-mantra Hare Krishna; sebbene esso sia in lingua sanscrita, tutti possono cantarlo. In questa riunione abbiamo cominciato a cantare e voi vi siete uniti a noi. Tutti i miei studenti sono americani. Nessuno di essi e indiano, ma tuttavia hanno imparato il mantra con grande facilità. Non è difficile e non costa niente. Allora che cos’è Hare Krishna? Hare significa l’energia del Signore e Krishna significa la Suprerna Personalità di Dio; perciò è una preghiera. Ci sono solo tre parole - Hare, Krsna e Rama — combinate in sedici parole:

HARE KRISHNA HARE KRISHNA
KRISHNA KRISHNA
HARE HARE
HARE RAMA HARE RAMA
RAMA RAMA HARE HARE

Vi chiediamo di fissare nella mente queste tre parole: Hare, Krisnna, Rama. Tutti possono imparare il mantra a mameria a cantarlo. E' universale. Se pensate: 'Oh, Krishna è il nome di un Dio hindu' - se avete delle obiezioni - allora non c'è bisogno che cantiate Krishna, ma dovete avere un nome per Dio. I Musulmani Lo chiamano Allah. Gli Ebrei Lo chiamano Jehovah. Non importa. Il Signore Caitanya afferma che ci sono milioni o bilioni di nomi di Dio. Se pensate che il nome Krishna non sia adatto, potete accettare qualsiasi nome. Non importa. ll nostro scopo è che cantiate il nome di Dio. E' molto difficile? Non è per niente difficile. ll Signore Caitanya afferma che vi sono innumerevoli nomi di Dio nelle diverse lingue, nei diversi paesi, nella diversa società ed 0gnuno di questi nomi ha la potenza di Dio stesso. Dio e' Assoluto: perciò non c'è differenza fra il Suo nome e Lui stesso. Nel mondo materiale, il mondo dalla dualità, c'è differenza fra il nome acqua e la sostanza acqua. Il nome acqua è differente dalla sostanza acqua. Se avete sete e cantate semplicemente: 'Acqua, acqua, acqua, acqua', non vi disseterete. Avete bisogno della sostanza acqua. Questa è la natura della materia, ma spiritualmante il nome Krishna o il nome Allah o il nome Jehovah hanno la stessa valenza della Suprema Personalità di Dio. Potete chiedere perché cantiamo specificatamente Hara Krishna. Questo nome era cantato dal Signore Caitanya, che introdusse questo movimento cinquecento anni fa in India. Seguiamo le orme dal Signore Caitanya. Poichè Egli cantava Hare Krishna, noi cantiamo Hare Krishna. ll Signore Caitanya raccomandava di cantare qualsiasi degli innumerevoli nomi di Dio. Non ci sono rigide regole per cantare. Non è che per cantare vi dovete preparare o studiare o abituare. No. Abbiamo cominciato a cantare e non eravate preparati, ma vi siete uniti a noi - avete battuto le mani con noi, avete danzato con noi. Non ci sono regole o regolamenti. Semplicemente cantate. E'
facilissimo. Mentre camminate potete cantare qualsiasi nome vogliate. A noi piace Krishna e cantiamo sempre:

HARE KRISHNA HARE KRISHNA
KRISHNA KRISHNA
HARE HARE
HARE RAMA HARE RAMA
RAMA RAMA HARE HARE

Mentre camminate per la strada, andate in autobus e perfino quando lavorate con le mani, potete cantare. Non c’e perdita da parte vostra, non spendete nulla, ma il guadagno è grandissimo. Perché non provate? Questo e ciò che vi chiediamo.


Il beneficio del canto.

ll beneficio e che gradualmente capirete chi siete. Tutta la civilta moderna si sviluppa secondo l’errata concezione che 'Io sono questo corpo'. Nello Srimad—Bhagavatam e detto che: 'Colui che va avanti identificando il corpo con il sè non e migliore di un asino o di una mucca'. ln realtà non siamo il corpo. Se cantiamo il mantra Hare Krishna, possiamo capire chi siamo. Appena capisco che non sono il corpo, le mie attività cambiano. Ora agisco con l’idea di essere il corpo. Poichè questo corpo e nato in un posto particolare, in un paese particolare dico: 'Sono americano', o indiano, o cinese, o tedesco e poiché questo corpo ha una relazione con una donna, accetto questa donna come moglie. Ci sono centinaia di migliaia di donne, ma quella che ha una relazione con questo corpo è mia moglie. Ci sono migliaia e milioni di bambini, ma quello che ha una relazione intima conquesto corpo lo chiamo mio figlio. Pertanto se erroneamente ci identifichiamo con questo corpo, anche la nostra identificazione con questo mondo e errata. La nostra reale identità, come stabilisce la letteratura vedica, e aham brahmasmi: 'Io sono Brahman'. Questo significa: 'Sono un’anima spirituale; non sono materia'. Il concetto errato che io sono il corpo deve essere rimosso. Naturalmente non è possibile per tutti capirlo, ma se lo capisce anche una percentuale della societa umana, moltissimi problemi saranno risolti. La soluzione di cosi tanti problemi e capire aham brahmasmi: 'Sono un’anima spirituale'. La Bhagavad-gita spiega come si attua la soluzione. Appena c’e questa realizzazione - aham brahmasmi - le altre cose ne vengono di conseguenza. Brahma bhutah prasannatma: uno diventa subito gioioso. Finché abbiamo il concetto della vita come corpo, non possiamo essere gioiosi. Siamo pieni di ansietà e appena comprendiamo 'Non sono questo corpo; sono un’anima spirituale', diventiamo gioiosi. Non ci sara ansia. Siamo pieni di ansia a causa del concetto della vita come corpo. Pensate ad un uomo che possiede una macchina molto costosa. Mentre guida, è attento ad evitare qualsiasi incidente che possa danneggiare la macchina. E' cosi in ansia. Un uomo che cammina per la strada invece non soffre della stessa ansia. Perché l’uomo che guida la macchina e cosi preoccupato? Perché si e identificato con la macchina. Se la macchina e danneggiata in un incidente, pensa: 'Oh, la mia macchina e rovinata; sono finito'. Sebbene egli sia diverso dalla macchina, pensa cosi a causa di questa errata identificazione. Nello stesso modo, poiché ci identifichiamo erroneamente con il corpo, abbiamo cosi tanti problemi. Pertanto se vogliamo risolvere i problemi della vita, dobbiamo capire che cosa siamo. Se non ci poniamo questa domanda, dobbiamo sapere che tutto cio che facciamo e destinato al fallimento, perché stiamo agendo con una coscienza errata. Nello Srimad-Bhdgavatam è detto: parabhavas tavad abhoda-jatah. Abodha-jatah si riferisce ad uno nato sciocco. Ognuno di noi e nato sciocco. Perché? Perché fin dall’inizio della vita pensiamo: 'Io sono questo corpo', sebbene non siamo questo corpo. Percio, secondo la civiltà vedica, uno deve prendere una seconda nascita. Una nascita e resa possibile dal padre e dalla madre. Quella è considerata una nascita animale. Janmana jayate sudrah. Ognuno per nascita è uno sudra, cioè appartenente alla classe più bassa, ma samskarad bhaved dvijah: 'Con questa nuova formazione, uno diventa nato due volte'. E che cos’e questa nuova formazione? Uno puo capire che cosa egli è. Poi, veda-pathad bhaved viprah: 'Dopo la seconda nascita, colui che cerca di comprendere la scienza spirituale, la scienza di Dio, e chiamato un vipra'. Vipra significa 'che ha una perfetta conoscenza'. lnfine, brahma janatiti brahmanah: 'Quando uno comprende di essere Brahman, un’anima spirituale, allora diventa un brahmana'. Forse avete sentito che in India i brahmana sono ritenuti gli uomini piu importanti della societa. Perché? Perché essi sanno: 'Io sono Brahman, non sono materia'. Comprendendo il Brahman, la vostra posizione sara prasannatma, 'piena di gioia'. Na socati na kcnksati: non vi lamenterete mai di alcuna perdita, ne bramerete alcun cosiddetto guadagno. Samah sarvesu bhutesu: vedrete ogni essere vivente allo stesso livello. Mad-bhaktim labhate param: in questo stato di realizzazione si puo comprendere Dio e la nostra relazione con Lui.

Comprendere la nostra identità.

Questo movimento per la coscienza di Krsna ha lo scopo di farci comprendere chi siamo. La risposta, naturalmente, e molto semplice. L’altro giorno tenevo una lezione in una scuola di dottrina. Feci venire avanti un ragazzino ed indicando le diverse parti del suo corpo, gli chiesi: 'Che cos’e questa?'. Egli rispose: 'E' la mia mano, è la mia testa, è la mia gamha, è il mio corpo, è la mia camicia, è la mia...'Allora gli chiesi: 'Dove sei tu? Stai dicendo ‘mio, mio, mio’, ma dove sei tu?'. Ognuno di noi puo capire chi è. Se tu chiedi a te stesso, 'Sono questa mano?' risponderai: 'No, questa è la mia mano. 'Sono questa gamba?' 'No, questa e la mia gamba'. 'Sono questa testa?' 'No, questa è la mia testa'. Allora, dove sei tu? Tu sei la persona che dentro di sé pensa: 'Questa è la mia mano, questa è la mia testa, questa è la mia gamba, questa è la mia camicia, questo è il mio cappotto. 'Pero hai mai visto questa persona? Tu pensi di aver visto tuo padre, tua madre, tuo figlio, ma hai visto il vero padre all’interno del corpo del padre? Hai visto il vero figlio all’interno del corpo del figlio? No. Allora l’intero tuo concetto di vita e dei problemi di questo mondo è errato. Perciò questo movimento e necessario oggi. Ceto-darpana-marjanam: il canto Hare Krishna purificherà la vostra mente. Bhava-maha-davagni-nirvapanam: non appena riesci a comprendere te stesso, allora tutti problemi - sociali, politici, economici ed ogni altro - saranno risolti. Sreyah-kairava-candrika-vitaranam: e gradualmente realizzerete la vostra vita trascendentale. La vostra vita trascendentale è piena di gioia. Ananda-mayo’bhyasat. Questa è la nostra natura. Noi desideriamo profondamente una vita piena di gioia, di felicità, ma non sappiamo come procurarcela. La nostra gioiosità è coperta dal nostro modo materiale di comprendere. Dobbiamo eliminare questa comprensione materiale: allora diverremo nuovamente felici.

La necessità di un'autorità.

Questo movimento è veramente scientifico. Abbiamo delle autorevoli asserzioni. Non potete rifiutare di obbedire alle autorità. Dall'inizio della vita, quando eri un bambino, chiedevi ai tuoi genitori: 'Madre, padre, che cos'è questo?'. Non puoi fare neanche un passo senza essere guidato da un'autorità. Sei guidato dall'autorità. Guidi la macchina rispettando le norme: 'Tieni la destra.' Perchè non ti rifiuti di obbedire? Dobbiamo obbedire all'autorità. La difficoltà sta però nello stabilire chi p l'autorità. Dobbiamo capire chi è realmente l'autorità. Autorevole è colui che non fa sbagli, non ha illusioni, non inganna e i suoi sensi sono perfetti. Questa è la definizione di autorità. Un'anima condizionata è sicura di commettere errori. Per quanto possa essere saggia, per quanto possa essere avanzata, deve commettere errori. Perciò diciamo: 'Errare è umano'. Tutti siamo soggetti all'illusione ed abbiamo la propensione ad ingannare. Perfino un bambino vuole ingannare. La madre chiede: 'Oh, che cos'hai in mano?'. Il bambino dice: 'No, mamma, niente'. sebbene la madre veda che ha qualcosa in mano. Quindi la propensione ad ingannare c'è. Soprattutto i sensi sono imperfetti. Sei orgoglioso dei tuoi occhi. 'Voglio vedere'. Cosa puoi vedere? Se la luce è spenta, la tua capacità di vedere sparisce immediatamente. Se non c'è il sole, la tua capacità di vedere è nulla. Possiamo vedere solo in certe condizioni: perciò la nostra capacità di vedere è imperfetta. Non puoi ottenere una conoscenza perfetta con i sensi imperfetti, con uno sforzo speculativo. Devi accettare l’autorita. Quando vuoi sapere chi è tuo padre, l’autorità è tua madre. La madre dice: 'Ecco tuo padre'. Devi accettare. Non puoi fare delle ricerche. Tua madre è l’autorità ultima per dirti chi e tuo padre. Nello stesso modo dobbiarno accettare un’autorità per ottenere una vera conoscenza. Se l’autorita non è un’anima condizionata, se è un’anima liberata, se non è un imbroglione, se i suoi sensi non sono imperfetti, se non fa sbagli, se non è in illusione - se ricevi la conoscenza da quella autorita, allora la tua conoscenza è perfetta. Questo è il processo. Abbiamo una letteratura autorevole: la letteratura vedica. Puoi metterla alla prova con i tuoi ragionamenti, con le tue discussioni, con le tue dispute filosofiche - con tutto. La religione, senza una base filosofica, senza una base scientifica, è sentimento. La religione basata sulla filosofia e sulla scienza è giusta. La Bhagavad-gita è un libro autorevole. Risponde facilmente a tutte le domande, a tutte le ricerche, a tutti i dubbi. Per esempio, in uno dei passi della Bhagavad-gita, il Signore Krsna dice:

sarva-yonisu kaunteya
murtayah sambhavanti yah
tasam brahma mahad yonir
aham bija-pradah pita

La letteratura vedica afferma che ci sono 8.400.000 specie di vita; acquatiche, piante, alberi, vermi, germi, uccelli, bestie e alla fine la specie umana. Cosi Krsna dice: 'Io sono il padre che dà il seme della vita a tutti gli esseri viventi'. Se capisci questo verso, allora puoi avere una qualche idea della fratellanza universale. Se vuoi realizzare una fratellanza universale, devi trovare il centro - il padre universale. Queste domande e risposte si trovano nella Bhagavad-gita. lnoltre noi abbiamo l'insegnamento della scienza di Dio: lo Srimad-Bhdgavatam. Questi libri sono destinati alla società umana. Se ti avvali della conoscenza impartita in essi e canti il mantra Hare Krishna, vedrai come la tua vita migliorerà, come diventerai ricco di conoscenza, pieno di beatitudine e come avanzerai nella vita eterna. Grazie molte.

29 gennaio 2009

'Simbologia e iconografia di Krishna' di Shriman Matsyavatara Prabhu.

Prima di cominciare a parlare dell’iconografia di Vishnu-Krishna, è doveroso fare alcune precisazioni riguardo alla natura e alla funzione del simbolo, e più precisamente delineare le differenze che vi sono tra il simbolo come viene concepito nella psicologia o nella linguistica occidentali e il suo valore nell’ambito del Divino nella tradizione vaishnava. Nei Testi Sacri di questa tradizione non compaiono concetti traducibili nei termini di simbolo e di mito, almeno così come vengono intesi nella cultura occidentale, in quanto il loro carattere è dichiaratamente transeunte e dunque improprio e fuorviante per far comprendere i valori ontologici della teologia vaishnava. Vi è tuttavia, in questa tradizione, un’antica 'scienza' che con l’attuale terminologia potremmo definire simbolica ma, come cercherò brevemente di spiegare, essa procede in maniera inversa rispetto a quella della sua omologa occidentale. Il processo simbolico nell’ambito dell’antica cultura indiana può infatti definirsi “discendente”, in quanto la Realtà percepita dall’uomo attraverso il simbolo sacro proviene dalla sfera del Divino ed è per questo definita apaurusheya. Nelle scienze psicologiche il simbolo ha una valenza abbastanza ampia, infatti l’analisi dell’attività onirica, considerata appunto simbolo rivelatore dell’inconscio, va sicuramente oltre il mero, immediato significato dell’oggetto, per sfociare in valori, concetti e sentimenti più ampi, sottili e remoti. L’inno nazionale o una bandiera simboleggiano una nazionalità; possono evocare sentimenti di appartenenza ad una nazione in tutti coloro che con essa si identificano, ma una volta espletata tale funzione questi simboli, non contenendo un senso ulteriore, esauriscono gran parte della loro importanza. Certo, una bandiera o un inno nazionale non possono dirsi semplicemente un pezzo di stoffa o un brano musicale, perché in essi c’è un valore aggiunto, ma tale valore è proprio di una simbologia che si esprime sul piano transiente, in ambito adhibhautika, per cui rientra nella dimensione storica, temporanea, non in quella sacra, metafisica. Nella teologia vaishnava il simbolo è una realtà di per sé, un prolungamento della dialettica del Divino infatti, tutto ciò che non si può considerare direttamente connesso alla sfera spirituale, lo diventa perché partecipa ad un simbolo. La Murti ad esempio, benché rappresentata da elementi fisici, trascende la realtà fenomenica, e tutti gli ornamenti, gli oggetti ad Essa relativi (il flauto, la mazza o il disco, gli abiti, la tiara o la piuma di pavone) partecipano alla Sua sacralità. In questo senso il simbolo è esso stesso una ierofania, in quanto rivela la realtà sacra, ontologica, suprema; è un riflesso (praticchaya) del Divino. Nel libro Jaiva-dharma un discepolo pone un’importante domanda al proprio guru:

'Se quel che è trascendente e quel che è mondano possiedono nature così diverse tra loro, come può allora uno dei due termini essere usato come esempio (udaharana) per l’altro?'

La risposta si trova nella teoria della trasformazione (vikara) di Bhaktivinoda Thakura, nella quale si asserisce che le forme-immagini del mondo fenomenico sono modificazioni imperfette, dette appunto vikara, di quelle eterne e perfette del mondo spirituale. Bhaktivinoda Thakura scrive:

[...] ho già detto che soltanto cit (la sostanza spirituale) possiede vera realtà; la materia è il suo vikara o imperfetta modificazione. Benché un vikara sia differente dalla sua 'pura' controparte, vi sono molte similitudini tra la cosa 'pura' e il suo vikara. Per esempio, il ghiaccio è un vikara dell’acqua e, malgrado esso differisca dall’acqua, possiede comunque molte qualità in comune con essa: freschezza [...]. Il variato mondo di maya è il riflesso distorto del mondo spirituale in tutta la sua varietà (cit-jagat) [...]. Così le diversità tra il mondo cit e il mondo di maya appaiono simili, secondo la prospettiva di chi possiede una visione grossolana.

Gli shastra vaishnava affermano che la qualità della fede religiosa, in un dinamico equilibrio con la purezza di cuore e di mente, 'trasforma' gli oggetti in qualcosa di diverso da quel che sembrano nell’esperienza profana; e questi oggetti, attraverso un processo 'simbolico', assumendo il ruolo di simboli sacri, ovvero “indicatori” (nidarshana) di una realtà spirituale, trascendono i loro limiti materiali (marmo, legno, stoffa, metallo, suono, pensiero ed altro), cessando di essere frammenti isolati, grossolani o sottili, a seconda che siano costituiti di elementi fisici o psichici, per integrarsi in un sistema o, meglio ancora, per rappresentare la sfera del sacro e rivelarne la dimensione. Quel che vale per la Murti vale anche per il Nama (Nome divino), per i Lila (giochi divini), per il Dhama (luogo santificato da una manifestazione del Signore), per gli Shastra (Sacre Scritture); tutte queste rappresentazioni del Divino possono essere percepite attraverso il processo simbolico e contemporaneamente ciascuna di esse non solo rappresenta la realtà suprema, tattva, ma è tattva di per sé. Il simbolo può essere compreso a vari livelli: fisico-letterale, psichico-concettuale immaginativo o spirituale-rasika, a seconda della consapevolezza e delle capacità proprie dell’individuo. Poiché molto raramente chi intraprende un cammino spirituale è libero dal condizionamento degli opposti (dvandva), tenderà a percepire la Murti, il Nama, gli Shastra e via dicendo nel modo fisico-letterale, non avendo quell’equilibrio sufficiente che fornisce la chiave di lettura per tutti i livelli. Questa iniziale percezione del Divino è comunque apprezzata da chi vive una coscienza elevata; il sadhaka evoluto infatti non svaluterà le percezioni immediate, sensoriali, perché consapevole che nella fase propria del kanishtha esse sono necessarie per potersi elevare e procedere oltre sul sentiero della realizzazione del sé. L’oggetto 'simbolo sacro' ha valenza ontologica nel Vaishnavismo e, pur apparendo contestualizzato entro il paradigma spazio-temporale, a seconda della qualità della fede religiosa e delle intrinseche capacità e qualificazioni (adhikara) del ricercatore, può rivelare ben altri orizzonti. A differenza dell’asta per il salto in alto, che porta l’atleta oltre l’ostacolo ma subito dopo viene da questi abbandonata in quanto ha esaurito la sua funzione, il simbolo sacro proietta il devoto vaishnava oltre la dimensione fenomenica, sul piano della Realtà e, al contrario del simbolo profano, dopo aver espletato questo compito non si dissolve né si svaluta e, mantenendo immutata la propria funzione, continua ad evocare nel sadhaka emozioni e sentimenti spirituali (rasa). Il simbolo vaishnava, la cui valenza ulteriore rispetto alla mera percezione fisica (pratyaksha) rimane inaccessibile a coloro che non possiedono la sufficiente qualificazione spirituale, serve a concepire, a visualizzare (darshana) e a raggiungere livelli di consapevolezza più avanzati, ad esperire il desiderio spontaneo (raga) di rapporto diretto col Divino, fino allo scambio di sentimenti amorosi (rasika) con Dio, Vishnu-Krishna. In India tutti conoscono e amano Krishna. La Sua storia divina viene narrata in molti antichi Testi Sacri, come gli autorevoli Bhagavata-purana e Hari Vamsha; ma è il celeberrimo poema epico Mahabharata quello che maggiormente contribuisce alla Sua diffusa popolarità. La vita di Krishna ha ispirato ogni sorta di genio: artisti, poeti, mistici, teologi e filosofi hanno tratto ispirazione per le loro opere dal Suo carattere e dalle Sue gesta. La Sua figura ha dunque profondamente influenzato la cultura socio-religiosa indiana. Krishna è il Bambino divino ma anche il divino Amante, il Filosofo eccelso e il supremo Yogi, l’Anima cosmica e l’Archetipo del guru, l’Amico e il Protettore dei Suoi devoti, il Dio dei deva, il Creatore e Glorioso Signore dell’universo. Vediamo dunque di conoscere Krishna più da vicino, cominciando dal Suo nome che significa ‘infinitamente affascinante'. Egli dice di Sé nella Bhagavad-gita: 'Sono l’origine di tutto. Tutto emana da Me. Così sapendo, i saggi Mi adorano con devozione totale. Di seguito leggiamo:

'Sono nel cuore di ogni essere e da Me vengono il ricordo, la conoscenza e l’oblìo. Il fine di tutti i Veda è quello di conoscerMi. In verità Io sono Colui che ha composto il Vedanta e Colui che conosce i Veda'.

Krishna afferma inoltre:

'Poiché sono trascendente, al di là del fallibile e dell’infallibile, e poiché sono il più grande, vengo celebrato nel mondo e nei Veda come la Persona suprema'.

Nella tradizione bhagavata, Krishna viene descritto come manifestazione plenaria di Dio (Purna-Avatara) e come Dio stesso, Originario Essere Supremo (Adi-Purusham) da Cui tutto promana. Secondo la Bhagavad-gita, oltre l’universo manifesto o sensibile, costituito da innumerevoli sistemi planetari, si situa la realtà suprema non manifesta, eccelsa dimora (dhaman) di Krishna. Mentre il mondo materiale (maya-jagat) è perpetuamente soggetto alle periodiche manifestazioni e conseguenti dissoluzioni o riassorbimenti, quello spirituale (cit-jagat) permane eternamente. Il regno di Krishna è infinito e consta di innumerevoli pianeti denominati Vaikuntha, per il fatto che offrono a chi vi risiede una vita libera dalle sofferenze imposte dal samsara. La Brahma-samhita descrive il più elevato di questi mondi, Goloka Vrindavana, come la Dimora personale di Krishna. Là, gli alberi dei desideri (kalpavriksha) sono in grado di soddisfare le aspirazioni più intime dei devoti e fanno da ornamento a meravigliosi palazzi edificati con pietre filosofali (cintamani); le mucche surabhi, dal latte abbondante, vengono condotte al pascolo da pastorelli su prati sempre in fiore, mentre moltitudini di anime liberate giocano felicemente con Krishna, Causa di tutte le cause. La Brahma-samhita celebra nei particolari la bellezza e la grazia infinite di Krishna: 'Il glorioso Signore ha occhi simili al loto in fiore e lunghi capelli neri ornati con una piuma di pavone; la Sua carnagione ha riflessi simili al blu delle fresche nuvole gravide di pioggia; innamora schiere di cupidi (kandarpa); indossa una fresca ghirlanda di fragranti fiori di campo e, mentre suona il flauto, la Sua affascinante forma è sinuosamente caratterizzata in tre punti; è ornato di gemme pure ed eternamente gioca con un numero infinito di anime liberate'.

'La Crisi' di Shriman Matsyavatara Prabhu.

Il termine ‘crisi’ è di origine greca, significa ‘cambiamento’. I cinesi per rappresentare il concetto di ‘crisi’ utilizzano due ideogrammi: il primo esprime ‘pericolo’, il secondo ‘opportunità’. In entrambe le civiltà, quella greca e quella cinese, vediamo che il fenomeno implica la necessità di scegliere, discernere, separare, decidere. La crisi è dunque un punto decisivo di cambiamento che si presenta o improvvisamente o gradualmente e che risolve - in senso favorevole o sfavorevole – la situazione o l'ambito in cui si manifesta. Si tratta di un fenomeno comunque caratterizzato dalla rottura dell'equilibro precedentemente acquisito e dalla necessità di trasformare gli schemi consueti di comportamento, che non si rivelano più adeguati a far fronte alla situazione presente. Nella crisi, quando soprattutto è profonda e acuta, è come se tutto subisse un repentino cambiamento dal quale l'individuo ne può uscire o trasformato, se dà origine a nuove soluzioni, oppure diretto verso l'incapacità di adattamento e la degenerazione. Nelle crisi di tipo fisiologico, dette anche evolutive o di sviluppo, il soggetto sperimenta il cambiamento passando dall'infanzia all'adolescenza, dall'adolescenza all'età adulta, dall'età adulta alla senescenza e dalla senescenza alla morte, ovvero al trapasso da una dimensione di esistenza ad un'altra. Queste crisi generalmente avvengono in maniera graduale e l'individuo si può più facilmente predisporre per fare un percorso di crescita interiore e di auto-consapevolezza. La crisi evolutiva è evidentemente di natura inarrestabile. Altra categoria di crisi è quella accidentale, provocata ad esempio da un'ingente perdita economica, un grave infortunio sul lavoro, un incidente automobilistico che può creare una disabilità permanente, un lutto, la perdita di una persona cara, un abbandono o, come nel nostro caso specifico, un tradimento. Nella crisi evolutiva la persona ha possibilità di procurarsi, con il progressivo mutare delle sue condizioni di vita, tutti gli strumenti che le occorrono per gestire e superare il cambiamento. La crisi accidentale irrompe invece in maniera subitanea e minacciosa, compromettendo la salute fisica, l'equilibrio psicologico, lo status sociale ed economico, ecc. Essa implica da parte del soggetto maggiori risorse interiori e una più pronta e matura capacità d'intervento. In genere la crisi accidentale si manifesta attraverso le seguenti dinamiche:

1) Il verificarsi di un evento imprevisto.

2) La connessione tra questo evento e precedenti tensioni che avevano già determinato una situazione conflittuale nel soggetto.

3) L'incapacità della persona di affrontare la crisi in modo adeguato servendosi dei suoi consueti meccanismi di comprensione ed elaborazione degli eventi.

A seconda del livello socio-culturale e soprattutto di quello evolutivo dell'individuo, si possono presentare differenti scenari di risposta alla crisi. I due principali possono essere così sintetizzati:

1) Stato di massima apertura al cambiamento verso situazioni sia positive che negative.

2) Incapacità di accettare il cambiamento a causa delle chiusure e blocchi emozionali e cognitivi dell'individuo.

Elementi determinanti nel fenomeno crisi sono il fattore tempo (durata) e l'intensità (carica energetica), ovvero la rilevanza dei cambiamenti affettivi, cognitivi e relazionali che sono messi in gioco. Nella valutazione generale del fenomeno è inoltre importante prendere in considerazione se si tratta di una crisi una tantum o se invece è legata ad un'esperienza che, se non risolta in maniera adeguata, tende a riproporsi nel tempo, come può essere quella associata al fenomeno morte, ovvero al trapasso da una dimensione di esistenza ad un'altra. La crisi può essere affrontata principalmente in due modi:

1) Con un pronto intervento che mira semplicemente a ridurne gli effetti dannosi sul momento, quasi una sorta di 'trattamento' temporaneo, volto a salvare il soggetto da pericoli immediati.

2) Attraverso l'intenzione e l'impegno a sanarne le cause profonde, affinché si risolva completamente e definitivamente.

Nello stato di crisi è altamente richiesta la capacità di adattarsi alla nuova situazione, elaborando giudizi pertinenti al mutato contesto e assumendo una posizione confacente e matura. E' proprio questa capacità che costituisce il fondamento di un atteggiamento responsabile nei confronti delle esperienze e anche relativamente autonomo rispetto ai condizionamenti ambientali. Imparare a gestire la crisi significa imparare a gestire gli eventi, anche quelli più negativi, senza rimanerne travolti, ma cogliendo la preziosa opportunità di elevare la propria consapevolezza, facendo riferimento a quei valori universali che permettono di andare con la coscienza e con il cuore oltre l'ostacolo. Occorre essere capaci, se è il caso, di prendere anche le distanze dalle proprie opinioni e convinzioni, sapendo che in buona parte esse riflettono il mondo culturale ed affettivo in cui si è vissuti e che sono dunque sempre suscettibili di miglioramento. L'autocritica, la capacità di assumere un altro punto di vista, di distanziarsi dai propri vissuti per riuscire ad analizzarli e ad elaborarli in modo appropriato, è più che mai indispensabile nella gestione della crisi, il cui superamento necessita del pieno sviluppo delle facoltà metacognitive. Ricordiamo che non sono mai gli eventi di per sé la causa delle nostre disgrazie o delle nostre fortune; quel che veramente è determinante è il nostro atteggiamento, ovvero l'attitudine con la quale ci poniamo di fronte a persone, situazioni e accadimenti. Se lo desideriamo intensamente e ci predisponiamo nella maniera corretta, anche un evento di per sé negativo può trasformarsi in una preziosa e salvifica opportunità di crescita e di elevazione.

Nell'elaborazione della problematica della crisi è importante tener di conto di tre fattori fondamentali:

1) Nessuno di noi può sfuggire alla crisi. La crisi è una normalità nella vita umana. Realizzare ciò è molto positivo, poiché evita di incorrere in sentimenti di rabbia, sfiducia o ingiustizia di fronte a nostre debolezze o a difficoltà apparentemente esterne (è infatti una visione distorta quella che ci fa credere che i problemi siano fuori di noi. In realtà possiamo ben capire che le loro cause, dirette o indirette, sono comunque da ricercarsi dentro noi stessi).

2) Occorre portare allo scoperto le nostre problematiche; rimuoverle significherebbe potenziarle, diventare nei loro confronti ancora più fragili, deboli e indifesi, poiché il nemico è quanto più pericoloso quanto più agisce non visto. Il nostro sforzo dovrebbe essere quello di affrontare ogni crisi non appena essa si manifesti, non appena la si riconosca come tale. Negare la crisi creandosi false giustificazioni o alibi, vuol dire far crescere e strutturare il problema in profondità, fino a che la ricerca di una soluzione diventa sempre più difficile ed impegnativa, sia in termini di tempo che di sforzi ed energie.

3) Il nostro futuro è sempre modificabile, dunque la cosa più importante e davvero determinante sarà la nostra reazione alla crisi. Il passato è un percorso concluso, ma tutto ciò che sta nel futuro è aperto alla trasformazione. Non c’è dunque niente di fisso o di prestabilito irrevocabilmente.

Dovremmo prendere le distanze emotive dalla crisi, capirne l’entità, comprendere la sua funzionalità evolutiva, considerarla come l’occasione per risolvere i problemi, superare i propri limiti e ascendere a piani superiori di consapevolezza, gioia e amore. In sintesi la crisi è uno squilibrio, una disarmonia che ci chiama ad un cambiamento, che spesso richiede raccoglimento, trasformazione, sublimazione e trascendimento degli opposti e che può essere definitivamente superata verso l’alto soltanto grazie alle facoltà più elevate dell’individuo, alla sua adesione all’ordine etico universale (dharma) e alla riscoperta della Bhakti, il rapporto di Amore con Dio nella Sua triplice espressione: 'Creatore-creato-creature'. Per risolvere la crisi occorre situarsi su di un piano di consapevolezza trascendente l'ego e penetrare lo spazio della coscienza profonda di se stessi, della propria essenza spirituale, laddove disarmonie ed opposti si ricongiungono in una superiore e sublime armonia. A tal fine non servono tanto la cultura o la mera acquisizione di dati quanto la saggezza, quel bene inestimabile che scaturisce dalla gloriosa unione di alta conoscenza, esperienza e coerenza di vita, attraverso la quale si raggiunge la felicità intrinseca, che non dipende da ciò che accade all'esterno. La felicità non è un'utopia se impariamo a camminare nel mondo in armonia con l'Ordine divino che regola la vita del cosmo e di ogni essere. Allora, ogni passo che compiamo su questo illuminato sentiero rompe un equilibrio, ma soltanto per costruirne uno superiore. Nella propria vita ogni individuo ha da confrontarsi con crisi, tensioni e conflitti emotivi, ma questi non sono di per sé negativi; lo diventano solo nel momento in cui non si riescono a gestire e, rimanendo irrisolti, producono nevrosi. Se vengono invece affrontati con la giusta attitudine, con consapevolezza e motivazione elevata, essi possono rappresentare persino l'indispensabile stimolo evolutivo per rafforzare le proprie qualità e per giungere ad equilibri superiori attraverso il riconoscimento e il superamento di alcuni propri limiti. Riesce infatti a sviluppare una personalità sempre più matura e integrata colui che impara a risolvere le naturali tensioni che emergono nel proprio intimo e quelle prodotte dall'esterno, facendo sì che non si cronicizzino ma anzi risultino occasioni importanti per acquisire ulteriori esperienze formative. A questo proposito Adler spiegava: 'Difficoltà piccola, uguale normalità; difficoltà grande, uguale nevrosi'. Chi sa riconoscere le particolari crisi emotive e tendenze nevrotiche cui è soggetto, sarà maggiormente in grado di evitare che esse degenerino in veri e propri disturbi della personalità. Tutti siamo continuamente alle prese con il processo di riadattamento delle nostre tensioni interne. Nessuno dovrebbe sentirsi al di sopra di tali tensioni; dovremmo piuttosto imparare a gestirle in maniera costruttiva evolutiva, mettendo in pratica un processo di trasformazione e rieducazione interiore che ci permetta di armonizzarle e trascenderle, e ciò è possibile soprattutto attraverso gli insegnamenti e lo stimolante esempio di vita di persone equilibrate, con elevato livello di coscienza, che possono essere modelli di riferimento nel lavoro che dobbiamo fare su noi stessi.

28 gennaio 2009

'L'iniziazione alla vita spirituale' di Shrila Bhaktisiddhanta Sarasvati Thakura.

La cerimonia di diksha o iniziazione è quella con la quale il Maestro Spirituale fa accedere una persona allo stadio iniziale sul sentiero della ricerca spirituale. La cerimonia ha lo scopo di conferire illuminazione spirituale attraverso l’eliminazione della tendenza al peccato. La sua efficacia dipende dal grado di volontaria cooperazione da parte del discepolo, e perciò non è la stessa in tutti i casi. Non preclude la possibilità di una regressione del novizio alla condizione non spirituale, se egli lesina gli sforzi o si comporta male. L’iniziazione pone la persona sul sentiero della verità e conferisce un impulso iniziale a progredire. Non può però bastare a far avanzare una persona illimitatamente, a meno che questa non scelga di sua volontà di contribuirvi con i propri sforzi. La natura dell’impulso iniziale varia anche a seconda della condizione del recipiente, ma nonostante la misericordia del buon Maestro ci consenta di avere una visione dell’Assoluto e del sentiero per raggiungerLo, il seme così piantato richiede cure molto attente sotto le diretive del Maestro per poter germogliare e diventare un albero che dona frutti e ombra. A meno che la nostra anima scelga di sua spontanea volontà di servire Krishna, dopo aver ottenuto un’idea sommaria della Sua natura reale, non può mantenere a lungo la visione spirituale. L’anima non è mai costretta da Krishna a servirLo. Ma l’iniziazione non è mai completamente inutile: cambia l’atteggiamento del discepolo nei confronti della vita. Se egli pecca dopo l’iniziazione può cadere in condizioni di degradazione più basse del non iniziato. Ma anche se dopo l’iniziazione possono esserci temporanei regressi, questi di norma non impediscono la liberazione finale. Il più fioco bagliore della vera conoscenza dell’Assoluto ha sufficiente potere per cambiare radicalmente e per sempre la nostra intera costituzione mentale e fisica, e questo bagliore non può essere totalmente offuscato, eccetto in casi straordinariamente sfortunati. E’ senza dubbio possibile per l’iniziato, se solo egli lo desidera, seguire le indicazioni del Guru, che conducono gradualmente all’Assoluto. Il vero Maestro è davvero il salvatore delle anime cadute; è però molto raro che una persona di cultura moderna senta l’inclinazione a sottometersi alla guida di un’altra persona, soprattutto in questioni spirituali. Ma la stessa persona si sottomette senza problemi alle indicazioni di un medico per essere alleviata nelle sue sofferenze fisiche. Questo perché queste ultime non possono essere ignorate senza conseguenze evidenti a tutti. Il male che scaturisce dalla nostra negligenza nei confronti delle sofferenze dell’anima, è di natura tale da paralizzare e confondere la nostra conprensione, impedendone così il suo riconoscimento. La sua gravità non viene riconosciuta perché apparentemente non si frappone in maniera così diretta tra noi e le nostre attività mondane. La persona di cultura media è perciò totalmente libera di porre domande senza realizzare la pressante necessità di sottomettersi alla cura di un medico veramente competente per guarire le infermità spirituali. Le domande più frequentemente poste sono di questo tipo: perché mai dovrebbe essere necessario sottomettersi ad una persona specifica o patecipare ad una specifica cerimonia allo scopo di realizzare l’Assoluto, che per Sua propria natura è non condizionato? Perché dovrebbe Krishna richiedere la nostra dichiarazione formale di sottomissione a Lui? Non sarebbe più generoso e logico permetterci di vivere la nostra vita in libertà, secondo i principi della nostra natura distorta, che è sempre Sua creazione? Ammettendo anche che sia nostro dovere servire Krishna, perché una terza persona dovrebbe presentarci a Lui? Perché è impossibile servirLo direttamente? Sarebbe senza dubbio altamente conveniente e di grande aiuto essere istruiti da un buon Maestro che conosca e comprenda le Scritture. Ma non ci si dovrebbe mai sottomettere a qualcun altro fino al punto da permettere ad una persona disonesta di fare realmente del male. Il cattivo maestro è un personaggio conosciuto. E’ inconcepibile come quei guru che vivono apertamente nel peccato riescano in ogni modo a mantenere il cieco apprezzamento della parte acculturata dei loro discepoli. Se è così possiamo criticare una persona che esita a sottomettersi incondizionatamente ad un maestro, sia questi buono o cattivo? E’ certamente necessario essere sicuri dell’autenticità di una persona, prima di accettarla anche vagamente come nostra guida spirituale. Un Maestro dovrebbe essere una persona che sembra possedere quelle qualità che ci permetteranno di migliorare la nostra condizione spirituale. Questi e simili pensieri potrebbero sorgere nelle menti della maggior parte di coloro che hanno ricevuto un’educazione moderna, quando viene chiesto loro di accettare l’aiuto di una persona specifica come loro maestro spirituale. La letteratura, la scienza e l’arte dell’Occidente promuovono il principio della libertà dell’individuo e condannano la mentalità che conduce all’abbandono ad una persona per quanto superiore. Queste inculcano la necessità e l’alto valore della fiducia in sé stessi e il diritto di scegliere il proprio cammino. Ma il lbuon Maestro richiede la nostra sincera e completa sottomissione. Il buon discepolo si abbandona completamente ai piedi del Maestro. Ma la sottomissione del discepolo non è né irrazionale né cieca. E’ completa a condizione che il Maestro stesso continui ad essere un buon Maestro. Il discepolo conserva il diritto di rinunciare al suo abbandono al Maestro nel momento in cui considera che questi è una creatura fallibile come lui. Né un buon Maestro può accettare qualcuno come discepolo a meno che quest’ultimo sia pronto a sottometterglisi volontariamente. Un buon Guru ha il dovere di rinunciare ad un discepolo che non desidera seguire in maniera completa le sue istruzioni. Se un Maestro accetta come discepolo una persona che rifiuta di essere totalmente guidata da lui, o se un discepolo si sottomette ad un Guru non totalmente buono, questo Maestro e questo discepolo sono entrambi destinati a cadere dalla loro condizione spirituale. Non si può essere un buon Maestro senza aver realizzato l’Assoluto.

Colui che ha realizzato l’Assoluto è salvo dalla necessità di camminare su sentieri mondani. Il buon Guru che vive la vita spirituale è perciò necessariamente e conpletamente buono. Dovrebbe essere totalmente libero da qualsivoglia desiderio di qualsiasi cosa di questo mondo, buona o cattiva. Le categorie di buono o cattivo non esistono nell’Assoluto. Nell’Assoluto ogni cosa è buona. Al nostro stato attuale non possiamo avere idea di questa assoluta bontà. La sottomissione all’Assoluto non è reale, a meno che non sia anch’essa assoluta. E’ sul piano dell’Assoluto che al discepolo è richiesto di sottomettersi completamente al buon Maestro. Sul piano materiale non ci può essere completa sottomissione. La simulazione di sottomissione completa al cattivo maestro è responsabile delle corruzioni he si riscontrano nella relazione tra l’ordinario guru mondano e i suoi egualmente mondani discepoli. Tutti coloro che pensano in modo onesto realizzeranno la logicità della posizione sopra descritta. Ma la maggior parte delle persone sarà incline a credere che un buon Maestro come sopra descritto non si possa trovare in questo mndo. Ciò è vero: sia il buon Guru che il suo discepolo appatengono al regno spirituale. Ma la sottomissione spirituale può comunque essere realizzata da persone di questo mondo, altrimenti nel mondo non ci sarebbe in nessun modo religione, ma il fatto che la vita spirituale possa essere realizzata in questo mondo non significa che l’esistenza mondana venga migliorata nella spirituale. A dire la verità l’una è completamente incompatibile con l’altra. Sono categoricamente differenti l’una dall’altra. Il buon Maestro, sebbene sembri appartenere a questo mondo, non è di questo mondo. Nessuno che appartenga a questo mondo può liberarci dalla mondanità. Il buon Guru è un abitante del regno spirituale che per volontà divina appare in questo mondo per permetterci di realizzare l’esistenza spirituale. La tanto decantata libertà individuale è il barlume di un’immaginazione distorta. Volenti o nolenti siamo costretti a sottometterci alle leggi di Dio, sia nel mondo materiale che in quello spirituale. La bramosia di libertà contraria alle Sue leggi è la causa di tutte le nostre disgrazie. La completa rinnegazione di ogni tipo di bramosia per questa libertà è la condizione per essere ammessi nel regno spirituale. In questo mondo desideriamo questa libertà ma siamo costretti, contro la nostra volontà, a sottometterci alle leggi della natura fisica. Questo è uno stato innaturale. La repulsione nei confronti di una sottomissione forzata non ci concede l’ingresso nel regno spirituale. In questo mondo il principio morale richiede proprio la nostra sottomissione volontaria, ma anche la moralità è una riduzione della libertà causata dalle peculiari circostanze di questo mondo. L’anima che non appartiene a questo mondo è in una condizione di esplicita o implicita ribellione contro la sottomissione ad una dominazione estranea. E’ per sua propria costituzione capace di sottomettersi spontaneamente all’Assoluto. Il buon Maestro chiede all’anima in lotta di sottomettersi non alle leggi di questo mondo, che la incateneranno sempre più alla sua condizione, ma alle supreme leggi del mondo spirituale. La simulazione di sottomissione alle leggi del regno spirituale senza l’intenzione di applicarle realmente nella pratica viene spesso presa per genuina sottomissione a causa dell’assenza di pienezza di convinzione. In questo mondo lo stato pienamente convinto è inesistente. Siamo perciò costretti in ogni caso ad agire sulla base di verosimiglianze, le cosiddette ipotesi vaghe. Il buon Maestro ci dice di cambiare il metoodo di azione che abiamo appreso dall’esperienza in questo mondo. Ci invita per prima cosa ad essere completamente e pienamente informati sulla natura e sulle leggi dell’altro mondo, che è eternamente e categoricamente differente da quello fenomenico. Se non ci sottomettiamo sinceramente per apprendere l’alfabeto della vita eterna, ma continuiamo ad asserire perversamente, per quanto inconsciamente, i nostri meccanismi e convinzioni contro le istruzioni del Maestro nel perido del noviziato, rimarremo dove ci troviamo. [omissis]. Ma a dire la verità quando ci riserviamo il diritto di scelta seguiamo noi stessi perché anche quando ci sembra di seguire il Maestro, è perché Egli sembra essere d’accordo con noi. Ma poiché i due mondi non hanno assolutamente niente in comune, stiamo solo vivendo un’illusione quando supponiamo di comprendere realmente il metodo o l’oggetto del Maestro, o in altre parole riserviamo il diritto di asserzione al sé apparente. Solo la fede nelle Scritture può aiutarci in questo tentativo altrimenti impraticabile. Crediamo al Guru con l’aiuto delle Scritture anche se non possiamo comprendere pienamente nessuno dei due. Non appena siamo pienamente convinti della necessità di sottometterci semza ambiguità al buon Maestro, è allora e solo allora che Egli può mostrarci la via verso il mondo spirituale, in accordo col metodo che gli Shastra descrivono a tale scopo e che Egli sa applicare in maniera propria senza commettere un fatale errore, appartenendo Egli stesso al regno dello Spirito. Il centro della questione non risiede nella natura esteriore della cerimonia dell’iniziazione così come ci appare, poiché è per noi incomprensibile, essendo un atto dell’altro mondo, bensì nella convinzione della necessità e della scelta di successo di un Maestro davvero buono. Possiamo pervenire alla convinzione della necessità dell’aiuto di un bravo Maestro attraverso l’esercizio della nostra ragione imparziale, alla luce dell’esperienza ordinaria. Quando questa convinzione si è pienemente formata Shri Krishna Stesso ci aiuta a trovare il Maestro davvero bravo in due modi. Per prima cosa Egli ci istruisce sul carattere e le funzioni di un buon Maestro attraverso le Scritture rivelate. In secondo luogo Egli Stesso ci invia il buon Maestro nel momento in cui possiamo pienamente benefiaciare delle Sue istruzioni. Il buon Maestro viene a noi anche quando lo rifiutiamo. Krishna ha rivelato dall’eternità informazioni sul mondo spirituale nella forma di suoni trascendenti che sono stati tramandati nelle scritture spirituali di tutto il mondo. Le scritture spirituali aiutano tutti coloro che sono preparati a fare esercizio della loro ragione allo scopo di trovare non il relativo ma la verità assoluta, per trovare il Maestro adatto in accordo alle loro direttive. L’unico buon Maestro è colui che ci può far realmente comprendere le scritture spirituali e queste ci permettono di realizzare la necessità e la natura della sottomissione ai processi in esse descritti. Ma c’è sempre la possibilità dell’inganno. Un uomo molto intelligente o un mago possono farsi credere persone che possono spiegare adeguatamente le Scritture per mezzo della loro conoscenza o arte illusoria. E’molto importante perciò guardarsi da tali trappole. Lo studioso, come il mago, pretende di spiegare le scritture soltanto nei termini degli eventi di questo mondo. Ma le Scritture stesse dichiarano che non ci rivelano affatto cose di questo mondo. Coloro che sono soggetti ad essere illusi dall’arte di yogi perversi si persuadono a credere che lo spirituale è identico alla perversione, distorsione o sfida delle leggi della natura fisica. Le leggi della natura fisica non sono irreali. Esse governano la relazione di tutte le esistenze relative. Nel nostro stato attuale è perciò sempre possibile per un’altra persona che possiede potere o conoscenza dimostrare la natura meramente speculativa di ciò che noi scegliamo di considerare come nostra convinzione più profonda, esponendo la sua insufficienza o inapplicabilità. Ma queste sorprese, poiché appartengono al regno del fenomenico, non hanno niente a che vedere col mondo dell’Assoluto. Coloro che provano attrazione non spirituale per l’erudizione o per la magia cadono nella trappola degli pseudo religiosi. La grave condizione di queste vittime della loro propria perversione si realizza nel fatto che nessuno può essere liberato dallo stato d’ignoranza per mezzo della forza. Non è possibile salvare l’uomo che rifiuta a priori di ascoltare la voce della ragione. Il pedante empirista non fa eccezione a questa regola. Il puro significato degli Shastra dovrebbe perciò essere la nostra unica guida nella ricerca del buon Maestro, quando sentiamo davvero la necessità della sua guida. Le Scritture hanno definito il buon Guru come colui che in prima persona conduce vita spirituale. Non sono le qualifiche mondane a fare il buon Maestro; è solo per mezzo di una completa sottomissione ad un tale Maestro che possiamo essere aiutati a tornare nel regno, nostra reale casa che sfortunatamente è veritiera terra incognita per quasi tutti noi al momento, e anche d’impossibile accesso per una mente e un corpo simili, risultato dell’abuso della nostra facoltà di libero arbitrio e del conseguente accumulo di un letale carico di esperienze mondane che abbiamo imparato a considerare vera sostanza della nostra esistenza.

'La Bhakti: perfezione dello Yoga' di Shriman Matsyavatara Prabhu.

L’esperienza del Divino è sempre originale, immotivata, unica e personale, non riducibile a qualcosa di diverso da sé. E’ un’esperienza che include il fascinans e il tremendum e, inconcepibilmente, li trascende entrambi armonizzando gli opposti, incluso il principio di attrazione-repulsione. Il credente che sperimenta la Divinità nella Sua Realtà personale, come nel caso della bhakti vaishnava, vive una trasfigurazione antropologica che potenzia tutte le sue qualità e caratteristiche individuali, depotenziando contestualmente gli interessi egoico-mondani e le pulsioni distruttive inconsce. Al contrario, colui che si dedica alla ricerca religiosa dell’Infinito impersonale, prima di pervenire all’esperienza del Divino nega e mortifica a lungo la propria umanità, per non parlare dell’angosciante prospettiva che presto o tardi si presenta a chi segue il sentiero dell’annullamento della personalità (nichilismo). La Bhakti, abbandono con devozione amorosa a Dio, è l’insegnamento conclusivo delle Sacre Scritture vedico-vaishnava. In quanto religione dell’amore essa troneggia sulle contrastanti forze titaniche della natura e le armonizza, conseguendo con prodigiosa naturalezza la coniunctio oppositorum che fu tanto ricercata anche dagli alchimisti. La Bhakti è la via per giungere allo stato di nirdvandva (libertà dagli opposti). Delle tre vie tradizionali (trai-marga)124 per raggiungere la liberazione (moksha), bhakti-marga è infatti considerata quella principale, il cuore del Sapere enunciato nella Bhagavad-gita e nella tradizione bhagavata in generale; la strada che può condurre ogni individuo alla riscoperta dell’eterna relazione d’amore che lo unisce all’Essere supremo, al Signore glorioso; una via per la completa reintegrazione nell’ordine socio-cosmico, grazie alla quale la persona può raggiungere tutti i propri fini terreni e nel contempo riscoprire la sua natura divina. La Bhakti sviluppa armonicamente tutte le fondamentali funzioni psicologiche: pensiero, sentimento e sensazione, poiché la sua pratica richiede appunto integrazione tra pensiero e sentimento, tra ragione ed intuizione. Nella triade Purusha (in questo caso Dio), jivabhuta (esseri incarnati) e prakriti (Natura), quest’ultima è costituita di tre elementi sottili, detti guna, i cui influssi sugli esseri che vivono nel mondo fenomenico determinano due grandi tipologie psicologiche di valenza universale: quella degli esseri di natura divina, daivim, e quella degli esseri di indole malvagia, asurim. Oscillante tra questi due poli emblematici si colloca una folta schiera intermedia di individui caratterizzati, nella misura in cui un guna predomina sugli altri, da infinite sfumature psicofisiche, da una vastissima gamma di “colorazioni” e formae mentis che costituiscono la peculiare maschera di ciascuno di loro. Nel diciassettesimo capitolo della Bhagavad-gita Krishna, quale esperto e supremo Conoscitore e Signore della mente, descrive quelli che potremmo definire, con un linguaggio moderno, i principali profili psicologici, influenzati e dunque caratterizzati dai tre costituenti della Natura o guna: sattva (luminosità, saggezza), rajas (passione, azione) e tamas (tenebra, inerzia). Nello stesso capitolo Krishna spiega che, a seconda del guna dominante, generato a sua volta da particolari desideri ed attitudini, gli individui sviluppano gusti e tendenze; in questo modo si delineano tipi di fede, di culto, di abitudini alimentari e di inclinazioni pratiche di varia gradazione, rispettivamente sotto il segno della virtù, della passione o dell’ignoranza. Ovviamente è pressoché impossibile incontrare individui esclusivamente dominati da sattva, da rajas o da tamas; il carattere della stragrande maggioranza delle persone è infatti la risultante di una mescolanza dei tre guna. Sebbene si possano riscontrare affinità tra una categoria ed un’altra, sarebbe dunque quantomeno artificiale postulare un’unica fede che, per i presupposti suddetti, non può esistere. Infatti a causa degli influssi della Natura, da cui sono immuni soltanto i rari saggi illuminati, le persone vedranno l’unico Principio divino come attraverso un caleidoscopio, cogliendone le forme più diverse, talvolta apparentemente inconciliabili. Guna, tra i vari significati, ha anche quello di ‘corda’, come dire che gli influssi dei costituenti della prakriti “legano saldamente l’individuo e ne condizionano l’esistenza, obbligandolo a muoversi più o meno come una marionetta e provocando comportamenti coatti e automatici che diventano l’apparente natura di chi li esprime. Ma all’essere che Gli si abbandona col sentimento della Bhakti Krishna indica la cura, fornendo la teoria e il metodo che consentono di superare le altrimenti ineluttabili influenze testé descritte. Parte della cura consiste nell’inscindibile combinazione di due princìpi essenziali: conoscenza (jnana) e distacco (vairagya). Come conferma la Shvetashvatara-upanishad, la guarigione sarà definitiva allorché l’individuo approderà alla bhakti, la quale si configura come impegno costante nel servizio di amore e devozione dedicato in egual misura al Maestro spirituale e a Dio, capaci di liberare l’essere dai suoi condizionamenti, grossolani e sottili, per restituirlo alla consapevolezza della sua vera natura, quella spirituale. Le molteplici turbe mentali, oggi sempre più frequenti, come è noto originano principalmente in ambiente familiare e lavorativo, nell’ambito della sfera sessuale e in quello del culto. Nella famiglia, nella sessualità o nella religione non c’è in sé e per sé niente di negativo; è la persona che, ponendosi nel modo sbagliato di fronte ad ambienti, oggetti e tendenze naturali, instaurando con essi una relazione unilaterale, può trasformare ciò che è neutro o propedeutico al suo evolvere in qualcosa di addirittura controproducente, paralizzante, che può gravemente compromettere il suo percorso evolutivo. Nella tradizione vaishnava sono frequenti le guarigioni da gravi deformazioni caratteriali: le patologie della psiche possono essere curate con la pratica di vita della Bhakti in quanto essa investe l’essere su tutti i piani antropologici, ristabilendo l’equilibrio tra pensiero ed azione, sensazione ed emozione, soggetto ed oggetto. Grazie a questa antica scienza spirituale, esperita sotto la guida amorevole di un guru autentico, l’individuo perviene gradualmente alla consapevolezza della propria natura ontologica: cadono le maschere e il sé riscopre il proprio volto, ripristinando una corretta percezione e relazione con la realtà che lo circonda, estinguendo così la ragion d’essere di ogni azione volta a ledere l’ambiente, le persone, e in primo luogo sé stesso. Questa è la dinamica che sta a fondamento di altrimenti inspiegabili profonde trasformazioni che dissolvono il carattere criminale, essendo ormai venute meno le motivazioni prodotte dall’errata percezione di sé. Anche i due “tipi” caratteriali universali definiti da Nietzsche come apollineo e dionisiaco, con i loro corrispondenti e specifici stati psicologici del sogno e dell’ebbrezza, possono benissimo, con la pratica della religione dell’amore, perfezionare gradualmente la propria personalità fino alla realizzazione spirituale. Nella Bhakti possono coesistere entrambe le necessità di cultura e natura; qualcuno, seguendo le proprie inclinazioni, privilegerà l’intelletto mettendolo al servizio del sentimento, altri agiranno in maniera opposta. Ma la Bhakti, se correttamente praticata, può soddisfare le varie istanze individuali, armonizzandole tra loro. Essa sviluppa nell’individuo un’attitudine lontana tanto da un’adesione illusoria identificantesi con l’immanenza, quanto dalla fuga verso una trascendenza astratta e spiritualistica, negatrice dei valori terreni e dispregiatrice del corpo, esortando piuttosto ad un agire pieno ma distaccato, efficace ma non mosso da volontà di possesso e di potere, un agire offerto con gioiosa devozione al Signore supremo, Krishna. La Bhakti non si compie soltanto per mezzo di esercizi psico-spirituali; anche l’azione esterna, l’attività nel mondo può sapientemente e decisamente essere usata quale mezzo efficace di integrazione della personalità. Però, affinché essa serva a tale scopo, l’attività non deve essere affrettata, tesa, convulsa, disordinata, esauriente, come troppo spesso avviene. Dobbiamo portare nelle nostre attività esterne ordine e disciplina; creare un opportuno avvicendamento ritmico ed armonico nel quadro della giornata, della settimana, del mese, dell’anno, alternandole in modo da usare in esse facoltà ed energie diverse, sì che l’una quasi riposi dell’altra. Si tratta di creare delle buone abitudini (sattviche) che incanalino gli impulsi impetuosi (rajasici) e richiamino quasi automaticamente, al momento adatto, le energie sopite o riluttanti (tamasiche). A ciò aiutano anche gli impegni esterni e i doveri imposti dalla vita familiare e sociale. Perciò non dobbiamo dolerci di queste limitazioni e ribellarci ad esse, ma utilizzarle invece per costruirci. L’ordine, la disciplina, il ritmo esterno aiutano a disciplinare e riordinare la mente e le emozioni. Affinché questo avvenga occorre però eliminare lo stacco, anzi quasi l’opposizione esistente spesso fra vita interna e vita esterna sì da costituire quasi due vite separate e contrastanti; occorre invece intessere intimamente l’una nell’altra in modo che una chiara visione, un ideale di armonia e di sintesi orienti il nostro stile di vita esterna e pratica, e che l’attività nel mondo sia continua occasione di interna disciplina (buddhi-yoga), volta allo sviluppo delle facoltà interiori quali la compassione, la misericordia, la carità e l’amicizia verso tutte le creature, fino al raggiungimento dell’obbiettivo più alto: l'amore puro per Dio (parama-prema-bhakti). Nel Bhagavata-purana alla Bhakti viene riservata una posizione di rilievo; in questo importante Testo Sacro essa viene infatti definita param dharma, il dharma più elevato, scevro da qualsiasi sfumatura di egotismo, ben superiore a moksha che è semplicemente una sua conseguenza.

27 gennaio 2009

'Il Movimento della Bhakti di Caitanya Mahaprabhu' di Shriman Matsyavatara Prabhu.

All’età di ventiquattro anni Caitanya Mahaprabhu abbandona definitivamente la vita secolare e gli impegni di famiglia. Coltissimo e già famoso insegnante, lascia scuola ed allievi per immergersi sempre più nell’esperienza mistica, vivendo un elevato livello di coscienza estatica. Interessato solo all’amore per Dio, Egli ritiene che lo strumento essenziale per realizzare questo scopo supremo sia l’invocazione costante, individuale o collettiva, in umiltà, del Nome divino di Krishna. Comincia allora ad esporre pubblicamente la Sua filosofia della Bhakti e, pur rispettoso delle dottrine teologiche di Ramanuja, di Madhva, di Nimbarka e di tutti gli altri grandi acarya vaishnava che Lo avevano preceduto, ne opera una sintesi di tali ampiezza e profondità da realizzare un formidabile strumento di risveglio spirituale per tutti. Sugli insegnamenti di Caitanya Mahaprabhu, grande Apostolo e Maestro della Bhakti nell’ambito della tradizione bhagavata, si fonda la Sampradaya nota come Gaudiya-vaishnava. La Sua opera, rivoluzionaria dai punti di vista sociale e religioso, in quanto offre agli individui di tutte le categorie sociali la possibilità di accedere alla realizzazione spirituale, convalida ed accresce la più antica tradizione vaishnava, la quale non ha mai proposto criteri di disuguaglianza ideologica, tantomeno in nome della religione. Come già detto, nella società religiosa hindu, guidata all’epoca dagli smarta brahmana, per lo più seguaci del Mimamsa, che desumevano la qualità di un individuo esclusivamente dallo status derivato dalla nascita (jati), il Movimento della Bhakti di Caitanya sostenne invece il principio fondamentale che il livello evolutivo di una persona deve essere valutato in base alle sue aspirazioni, tendenze ed esperienze, come testimoniato nelle Upanishad, nei Vedanta-sutra o Brahma-sutra (aforismi sul Brahman), nella Bhagavad-gita e in numerose altre opere della letteratura Shruti e Smriti. L’insegnamento di Caitanya, in quanto fondato su valori universali, oltre ad essere essenzialmente ecumenico possiede infinita potenzialità sia sul piano immanente che su quello trascendente. E’ l’elevato contenuto etico insito nella religione della Bhakti che dà impulso all’edificazione di una società strutturalmente giusta. L’atteggiamento criminale scaturisce invece nell’uomo condizionato dalla sua totalizzante, indiscriminata estroversione, dal suo rapporto egoico con la prakriti e quindi dall’influenza contaminante dei guna che da essa promanano. E’ così che l’individuo finisce per identificarsi con una serie di riflessi distorti del proprio sé, sviluppando un rapporto errato e conflittuale con se stesso e con l’ambiente circostante. Si crea in tal modo quel fenomeno in cui il soggetto, per essersi sporto troppo “all’esterno”, viene assorbito dall’oggetto che lo ipnotizza, lo vittimizza, lo fa suo. Si originano da questa situazione gli atti comunemente noti come criminosi che, dal più lieve al più orribile, possono essere identificati come frutti velenosi di ahamkara. Nell’orientamento psicologicamente ambivalente della Bhakti, la funzione estroversa e quella introversa si armonizzano: la prima produce la pienezza delle opere e la seconda la ricchezza della conoscenza e della consapevolezza interiore. Nell’inconscio di chi pratica la Bhakti hanno luogo processi creativi sufficienti per fornire alla volontà la capacità di conciliare quegli opposti che, sul piano cosciente, modificano in senso positivo la visione del mondo. Da ciò scaturisce quella forza viva della fantasia creatrice e liberatoria che rende armonico il comportamento del devoto nei suoi rapporti con se stesso, col mondo e con Dio.