Nell’estate del 1976 mi trovavo in India, nella zona dell’Himalaya. Ero seriamente interessato alla Scuola filosofica e psicologica del saggio Patanjali (rajayoga-sutra) e vivevo in un ashrama, dove studiavo dall’alba al tramonto. Là nessuno sapeva chi io fossi: avevo 31 anni, ero celibe e godevo di ottima salute. In Europa stavo vivendo un periodo di grande successo, in Italia venivo considerato come uno fra i maggiori designers internazionali nel campo dell’architettura d’interni. Tuttavia denaro, fama, vita di società e compagnie altolocate non mi procuravano più nessuna gioia, anzi, mi rattristavo nel sentirmi sempre più solo in mezzo ad una folla di “amici” anonimi. Percepivo di stare inutilmente consumando il mio tempo migliore poiché mi muovevo in direzione diametralmente opposta alle mie vere aspirazioni. Così, nel ‘74, con grande sorpresa di tutti, iniziai a dare una svolta alla mia vita: con grande cautela selezionai le amicizie, cancellai gran parte degli impegni mondani e indirizzai i miei interessi sempre più verso l’introspezione. Mi si era ingenerata, infatti, una specie di nausea per tutta la letteratura mondana, anche per quella degli autori più famosi, psicologi inclusi. Pur avendo partecipato ai movimenti studenteschi del ‘68, avevo perso ogni interesse per le loro istanze, ormai tradite, volgarizzate e banalmente politicizzate. La violenza verbale e politica, la droga e il sesso, avevano fagocitato quei deboli valori di libertà e di giustizia iniziali, facendoli degenerare in maniera definitiva e per me inaccettabile. Con questo stato d’animo, stavo perdendo interesse verso l’Occidente edonista-materialista e, grazie ad alcune nuove letture, stavo gradualmente guardando ad Oriente. Anche la rotta dei miei viaggi era cambiata e, anziché recarmi a Parigi e a New York, come prima facevo spesso, cominciai a visitare la Cina e l’India, finché finii per individuare il baricentro della mia ricerca: i miei interessi si concentravano sempre più attorno alla spiritualità. L’immenso corpus della letteratura vedica mi aveva attratto e, tra i vari testi che avevo potuto trovare e leggere, il testo sugli Yoga Sutra di Patanjali era stato quello che, per i suoi contenuti psicologici, più di ogni altro mi aveva stimolato, riaccendendo in me vivo interesse per quella scienza. Nel ‘76 mi recai in India per la terza volta, deciso a trovare una risposta soddisfacente alle mie domande esistenziali. Nel viaggio precedente avevo visitato molti ashrama e incontrato diversi yogi e guru, ma nessuno di loro mi aveva ispirato né era risultato convincente fino al punto da me desiderato. Allora cominciai a pensare di non essere ancora pronto, di non avere la “giusta visione” e che avrei dovuto purificarmi con lo studio e con una vita ascetica. Ero convinto che, così facendo, Dio mi avrebbe rivelato in maniera chiara il sentiero da percorrere. Così decisi di andare in un ashrama anonimo, per prepararmi a questa ricerca spirituale. A fine Agosto ‘76, in questo ashrama feci amicizia con un asceta errante, un brahmachari della mia età, dall’aria intelligente e onesta. Assieme seguivamo le lezioni, studiavamo e parlavamo delle nostre aspirazioni. Un giorno, presto al mattino, questi mi disse con aria grave: “Se vuoi essere felice devi dedicare la tua vita a Krishna e per fare questo devi incontrare personalmente un puro devoto del Signore. Devi incontrare Shrila Prabhupada, lui ti può presentare a Krishna. Lascia questo posto, vai a Vrindavan e parla con Prabhupada”. Io non avevo mai sentito parlare né di questo posto né di quello svami, e anche la figura di Krishna, per quel che avevo letto qualche tempo prima nella Bhagavad-Gita, non mi aveva particolarmente ispirato. Fui colpito dal modo di fare del mio compagno di studi e gli chiesi molte spiegazioni. Per tutta risposta lui mi spiegò di essere un Vaishnava (un devoto, dedicato a Dio) e di essere venuto lì per predicare. Cominciammo a parlare di Krishna e di Prabhupada e una delle prime cose che mi disse fu che la Bhagavad-Gita da me letta non aveva un commentario adeguato, che Krishna può essere rivelato solo da un Suo puro devoto e che, proprio per questo, io avrei dovuto andare subito ad incontrarlo a Vrindavan. Smettemmo di seguire le lezioni di Vedanta nell’ashrama e prendemmo ad incontrarci sulle rive del Gange. Cantavamo il Maha-Mantra Hare Krishna ed io ascoltavo da lui le narrazioni di Prabhupada e di Krishna. Il 27 agosto, dopo esserci salutati affettuosamente e scambiati dei regali, partii per Vrindavan alla ricerca di Prabhupada. Non sapevo dove fosse esattamente Vrindavan, né quanto fosse distante da dove mi trovavo. Sapevo solo di dover conoscere Prabhupada perché lui mi avrebbe presentato a Krishna. Così, pensando intensamente a Prabhupada, cominciò il mio viaggio da quell’ashrama a Hrishikesh fino ad Haridwara; da qui presi il treno per Delhi e poi un altro per Mathura, da dove proseguii in tanga (carro trainato da un cavallo) fino a Vrindavan. Arrivai a Vrindavan nelle prime ore del pomeriggio e, sotto un sole implacabile, cominciai subito la ricerca di Shrila Prabhupada. Sapevo solo che lui doveva essere a Vrindavan, in un tempio di Krishna, così chiesi candidamente al conducente di portarmi al tempio di Krishna. Costui ovviamente mi portò in un gran numero di templi dove io entravo e chiedevo di Prabhupada, però dalla prima impressione che ricevevo, ancora prima delle risposte, mi rendevo conto che non si trattava del posto giusto. Dopo ore passate entrando ed uscendo da vari templi l’uomo del tanga perse la proverbiale pazienza indiana, forse temendo di essere preso in giro e di non venir pagato così, dopo alcune minacce, scaricò i miei bagagli a terra nel mezzo della strada...Mi trovavo a Vrindavan: ora sapevo che esistevano migliaia di templi dedicati a Krishna e più di una persona che diceva di chiamarsi Prabhupada (titolo onorifico che significa: colui che si è affidato al Signore), ma non sapevo ancora in quale tempio si trovasse il “mio” Prabhupada. Ero in viaggio da tanto tempo, con un compagno ammalato, ero stanco, affamato, seduto sulle valige nel mezzo di una strada polverosa, con i passanti che si fermavano a guardarci incuriositi e muti; la mia non conoscenza della lingua locale (Hindi) non aiutava certo a rendere più allegra la situazione. Poiché mi trovavo a ridosso di un alto muro di cinta, dopo un po’ mi decisi a bussare ad un grande cancello di lamiera che subito si spalancò. Si presentò un devoto pulito e raggiante, al quale chiesi la stessa informazione già chiesta tante volte quel pomeriggio: “Cerco Prabhupada...”. Dal cancello aperto si intravedeva un tempio colorato ed un giardino ben curato. Prima ancora che il devoto mi rispondesse, avevo percepito di essere nel posto giusto. Il devoto era un italiano (Dvijavaradas) e mi invitò ad entrare. Mi assicurò che ero arrivato a destinazione ma, viste le mie condizioni, mi preparò una stanza perché mi potessi lavare e riposare; mi disse che una volta pronto avrei potuto mangiare e poi organizzarmi per incontrare Prabhupada. Ero estremamente felice, mi sentivo salvo e stava nascendo la mia fede nella protezione di Prabhupada e di Krishna. Una volta lavato e ristorato, alcuni devoti mi dissero che Prabhupada era partito per Delhi il giorno prima, così decisi di raggiungerlo là. Un responsabile del tempio di Vrindavan, su mia richiesta, scrisse una lettera di presentazione a Shrila Prabhupada da consegnare alle autorità del centro di Delhi. Quando vi giunsi era notte. Intravidi Srila Prabhupada in cima alla scala, i devoti presenti mi assicurarono che il mattino seguente avrei potuto parlarci. Erano le dieci del 30 agosto 1976 quando, per misericordia di Krishna, tutto fu pronto perché incontrassi Sua Divina Grazia A.C. Bhaktivedanta Svami Prabhupada. Un devoto italo-australiano di nome Sajanashrayadas, cogliendo l’occasione di stare qualche minuto vicino a Prabhupada, si offrì di farmi da interprete nell’imminente incontro. Mi accompagnò nella stanza di Prabhupada, che si trovava al primo piano. Entrammo: l’interno era illuminato dalla luce del sole che entrava da un’ampia finestra e Shrila Prabhupada, attorniato da alcuni discepoli, sedeva sopra un grande cuscino, di fronte ad un piccolo scrittoio di poco rialzato da terra. Il pavimento era coperto da un lenzuolo bianco. Mi avvicinai, chinandomi di fronte a Prabhupada. Negli ashrama che avevo visitato mi era capitato molte volte di assistere a questo gesto rituale di rispetto, ma prima di allora non l’avevo mai fatto. Quella volta offrire gli omaggi mi venne spontaneo e gradito. Prabhupada era grave, ma luminoso; ci guardammo per qualche secondo negli occhi; poi Lui sorrise e mi domandò: “Ci siamo già incontrati?”. Io risposi: “No, non ci siamo mai visti in precedenza, ma negli ultimi giorni io ti ho pensato intensamente”. Prabhupada per tutta risposta mi chiese: “Credi in Dio?”. Gli risposi affermativamente e pensai in quel momento che per la prima volta ne ero veramente convinto. Prabhupada tornò serio e mi disse: “Sfortunatamente la società moderna non sta dalla parte di Dio; per questo non può essere vincente, anzi, è già sconfitta! Il falso progresso che la caratterizza la rende disgustosa; si tratta di una società di ignoranti, traboccante di bisogni artificiosi. La prima conquista di ogni uomo o donna è quella di realizzare che non siamo il caduco corpo materiale, ma anime spirituali immortali. Avere un corpo materiale significa soffrire, ma la maggior parte della gente oggi crede, per ignoranza, che le miserie della vita siano normali o addirittura piacevoli. La forma umana è però estremamente rara da ottenere e noi siamo molto fortunati ad avere questo corpo, perché la specie umana è l’unica, fra innumerevoli altre, che può permettere di ristabilire la relazione eterna che ci lega a Dio. Noi siamo eterni servitori di Krishna perciò, senza questa coscienza, non possiamo parlare di progresso o di felicità. Possiamo conoscere Krishna anche conducendo una vita semplice, basata sulla coltivazione della terra e sulla protezione della mucca. La coscienza di Krishna è vita semplice e pensiero elevato, in armonia con la natura. Molti, ritenendosi indipendenti dalla natura, cercano di sfruttarla come se ne fossero i padroni assoluti, ma poi finiscono per venire inevitabilmente sopraffatti dalle sue leggi. La tendenza a voler dominare la natura e gli esseri viventi produce una società permanentemente rissosa. Shrila Prabhupada mi invitò ad esprimere ciò che pensavo. Gli risposi che condividevo il Suo punto di vista. Mentre Lui parlava io pensavo che quella era l’occasione della mia vita e che se me la fossi lasciata sfuggire, per me non avrebbe più avuto nessun senso andare in giro per il mondo alla ricerca di Dio. Percepivo che Prabhupada era completamente affidabile e, per la prima volta nella mia vita, sentivo di potermi abbandonare con fiducia a qualcuno. Tutte le preoccupazioni che tanto mi avevano turbato stavano disperdendosi, spazzate via dalle Sue parole. Mi chiese sorridendo: “Allora, qual è il problema?” Gli risposi: “Se potessi vivere sempre insieme a Te, ai devoti, vestire con questi abiti, ci sarebbero pochi problemi. Mi preoccupa il pensiero di tornare a casa, dove ho dei doveri da compiere. Sono fidanzato e presto mi sposerò; ho la direzione progettistica di diverse aziende; ho soci e aziende. Come farò a condurre una vita spirituale con tutti questi impegni sociali?”. Prabhupada mi disse: “Non preoccuparti, diventa un devoto, canta Hare Krishna, leggi la Bhagavad-Gita e Krishna Si rivelerà. Nella Gita puoi trovare la soluzione a tutti i problemi materiali. Per interrompere una volta per tutte il samsara, questo penoso trasmigrare di corpo in corpo, di specie in specie: animale, vegetale, umana, dobbiamo conoscere Krishna. Non perdere tempo. Tu sei dotato di talenti, ma sai da dove provengono? Conosci la loro fonte? A chi appartengono? Sono proprietà di Dio, come tutto ciò che esiste, incluso il frutto del nostro lavoro. Perciò tu hai un solo compito da svolgere: mettere al servizio di Krishna tutti i tuoi talenti, poiché lo scopo della vita è conoscere Krishna e Lui è raggiungibile solo se Lo si serve con amore e devozione. Torna a casa, canta Hare Krishna, parla di Krishna alla gente che incontri, Lui si prenderà cura di te, non temere. Hare Krishna!”
Il giorno dopo l’incontro con Sua Divina Grazia Shrila Prabhupada, lasciai Nuova Delhi per ritornare in Italia. Ero determinato a seguire i Suoi insegnamenti; poi, pensavo, tra un po’ di tempo, sarei tornato a trovarLo per metterLo al corrente di come stesse procedendo la mia vita. Durante il viaggio ero preoccupato dell’impatto che avrei avuto sul mio ambiente e sulla mia famiglia: come avrebbero reagito amici, fidanzata, genitori e soci a questa mia conversione? Le parole di Prabhupada però mi echeggiavano ancora nella mente, infondendomi speranza: “Non ti preoccupare, canta Hare Krishna, studia la Bhagavad-Gita e Krishna Si prenderà cura di te”. Fu in questo stato d’animo che, durante il viaggio di ritorno, cominciai a leggere “La Bhagavad-Gita così com’è”, edita dalla Macmillan Company (la prima edizione integrale, stampata da Shrila Prabhupada in America), che avevo appena acquistato a Delhi, uscendo dall’incontro con Shrila Prabhupada. Avvenne qualcosa di straordinario. La mia conoscenza dell’inglese scritto allora era davvero scarsa e io mi aspettavo di non capire gran che dalla lettura di quel testo tradizionale, ciononostante non appena applicatomi ebbi la netta sensazione di comprenderne il significato! Dopo l’atterraggio a Fiumicino presi il treno per Livorno. Sul treno cominciai a pensare che avrei dovuto preparare un discorso per spiegare ai miei familiari, nel modo più chiaro e delicato possibile, come avevo deciso di organizzare la mia vita, ma Krishna e Prabhupada avevano un altro piano! Un controllore, forse incuriosito dagli strani abiti indiani che ancora indossavo, si avvicinò e cominciò a farmi domande. Io gli parlai di Krishna, di Prabhupada e di tematiche esistenziali per tutto il viaggio. Ero così felice di aver glorificato il Signore Supremo e il Suo puro devoto, che mi resi conto di essere a Livorno solo nell’attimo in cui entravamo in stazione. Non avevo avuto neanche un istante per pensare a come impostare il discorso da rivolgere a chi, di lì a poco, avrei incontrato! In stazione mi aspettavano mio padre e la mia fidanzata, Marisa. Salimmo in auto, diretti alla nostra casa di Perignano di Lari in provincia di Pisa. Alla guida c’era mio padre, io sedevo al suo fianco mentre Marisa occupava il sedile posteriore. Cominciai subito a parlare della coscienza di Krishna, dell’incontro con Shrila Prabhupada e della mia volontà di accettarLo come maestro spirituale. Dopo avermi ascoltato attentamente Marisa mi disse che quelli che avevo esposto erano i valori che lei aveva sempre apprezzato di più nella vita e che era sua ferma intenzione percorrere la via della coscienza di Krishna insieme a me. Mio padre invece ascoltò tutta la mia esposizione senza dire una parola. Nel frattempo giungemmo a casa, dove mia madre aveva preparato un ricco pranzo per festeggiare il mio ritorno. Come purtroppo accade nella maggior parte delle famiglie, anche quella tavola era imbandita con cibi inadatti alla vita spirituale. Chiamai mia madre in disparte e gentilmente le spiegai che ero determinato a cambiare vita perché volevo diventare un devoto del Signore, Shri Krishna. Per lei, che era sempre stata profondamente religiosa, ascoltare il messaggio di Krishna fu come riscoprire qualcosa che aveva solo temporaneamente dimenticato. Con le mani nei capelli, quasi disperata, esclamò: “Cosa abbiamo mai fatto in tutti questi anni? Abbiamo perso tanto tempo, abbiamo sprecato gran parte della nostra vita. Dobbiamo rimetterci sulla retta via e servire il Signore con amore e devozione, come dice Prabhupada”. Voglio seguirti! Mio padre non accettò immediatamente, come avevano fatto Marisa e mia madre; era una persona dal carattere forte, solida, concreta, non poteva pensare di cambiare vita così, dall’oggi al domani. Comunque, dopo qualche settimana di osservazioni, riflessioni e scambi tra di noi, su vari aspetti pratici e filosofici, anche lui intraprese il cammino indicato da Shrila Prabhupada, diventando gradualmente un ottimo devoto, generoso, leale e dinamico. Da allora, per il resto della sua vita, si è dedicato alacremente alla missione di Shrila Prabhupada. Tra i vari servizi, l’ultimo prima della sua dipartita è stato la realizzazione del bel tempio in marmi policromi per l’adorazione di Shri Shri Radha Vrajasundara, a Villa Vrindavana (Firenze). Shrila Prabhupada ancora una volta era stato profetico: la mia famiglia si era trasformata. Ora, per Sua grazia, tutti eravamo devoti e la mia casa era diventata un tempio. Nella primavera del ‘77 Shrila Prabhupada accettò me e mia moglie come discepoli, sposati e iniziati, con i nomi di Matsyavatara dasa e Manupatni devi dasi. L’estate successiva tornai a Vrindavan per stare tre settimane con Sua Divina Grazia e ringraziarLo dell’inestimabile dono che aveva elargito a me e alla mia famiglia.
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