22 febbraio 2009

'Riflessioni sul complesso d’inferiorità e sulla frustrazione che esso produce' di Shriman Matsyavatara Prabhu.

Shrila Prabhupada diceva: “practice is the mother of perfection”.
Tra tutti gli inganni e le trappole della mente, scambiare l’io per il sé costituisce il più formidabile. La identificazione con l’io attuale, porta alla disistima di sé stessi ed è uno tra i peggiori e tra i più difficili trabocchetti da superare perché è una fossa che scaviamo con le nostre mani e il cui portato si può così riassumere: “è inutile, non ci riesco, (Maya) è più forte di me!”. Le conseguenze sono pesanti, tanto per l’individuo che perde il gusto della vita tanto per la società che ne perde in partecipazione e progresso. Come studioso dei vissuti della coscienza, posso affermare che l’immedesimazione con l’io attuale conduce alla disistima di sé facendo perdere a chi ne soffre il bene più prezioso: la gioia di vivere. Non è proprio nei giorni in cui chi è soggetto a questo terribile scetticismo che dubita di sé stesso e non si sente preparato al raggiungimento dello scopo della sua vita? Non è allora che appare impossibile realizzarsi spiritualmente e ottenere felicità e Amore? Non è forse in questi momenti che sembra difficile perfino continuare a vivere? Dobbiamo seriamente convincerci che l’avere una bassa opinione di noi stessi non è una virtù ma un vizio. L’invidia, la gelosia e il risentimento, per esempio, che sono la rovina di molte relazioni, sono quasi sempre provocate dal dubitare di sé stessi. La persona che ha stima di sé stessa non si sente ostile verso il prossimo, vede i fatti con più chiarezza e non è tanto esigente nel pretendere dagli altri.
Il risentimento crea un’immagine scadente di sé stessi.
Il risentimento, anche se basato su torti e ingiustizie reali, non fa vivere bene e, come una droga, crea dipendenza e diventa presto un’abitudine emotiva. Sentendovi per abitudine vittime di un’ingiustizia, vi immedesimate nel ruolo della vittima; portate in voi un sentimento che cerca un appiglio cui attaccarsi. Di conseguenza è facile vedere la ‘prova’ dell’ingiustizia o immaginare che siete stati oggetti di un torto sia per una innocentissima osservazione o in una circostanza neutrale. Il risentimento abituale porta invariabilmente all’autocompassione che è uno dei sentimenti peggiori che si possano avere. Perché? Coloro che si lasciano prendere da questo sentimento disperdono tutte le loro energie nel trovare giustificazioni, incolpando altri per le loro carenze; così facendo non restano loro ulteriori energie da investire nella ricerca di soluzioni ai propri problemi. Quando queste abitudini sono state fermamente inculcate, una persona non si sente ‘a suo agio’ o ‘naturale’ quando sono assenti, e quindi comincia a cercare con ansia le ‘ingiustizie’. Qualcuno ha detto che questi individui si sentono bene solo quando sono oggetto di torti. Il risentimento e l’auto compassione vanno di pari passo con una immagine inferiore e inefficiente di sé stessi. Vi immaginate come una persona degna di compassione, come una vittima creata per essere infelice.

La vera causa del risentimento.

Ricordatevi che il risentimento non è provocato dalle altre persone, dagli eventi o dalle circostanze, ma dalla vostra stessa risposta emotiva, dalla vostra reazione. Voi solo avete potere su di esso, e potete controllarlo solo se vi convincete fermamente che il risentimento e l’auto compassione non conducono alla felicità e al successo ma alla sconfitta e all’infelicità. Finché vi nutrite di risentimento è letteralmente impossibile immaginarvi come un individuo fiducioso in sé, autonomo, capace di prendere le sue decisioni, come chi è ‘timoniere della propria vita, responsabile del proprio destino’. Questo individuo lascia le sue redini agli altri che gli detteranno come deve sentire e come deve agire. Egli dipende interamente dagli altri, proprio come un mendicante. Se qualcun altro vuole dedicarsi a farvi felice, vi sentirete pieni di rancore nel momento in cui questo non accade più. Se sentite che gli altri vi ‘devono’ eterna gratitudine, un’infinita stima o un continuo riconoscimento del vostro ego inflazionato, vi risentite immediatamente se questi ‘debiti’ non vengono pagati, e se la vita vi deve una determinata esistenza, proverete lo stesso ri-sentimento se la promessa non si avvera. Il risentimento è quindi incompatibile con la lotta creativa verso una meta, perché nella lotta voi siete l’attore, non lo spettatore passivo, siete voi a stabilire le vostre mète. Nessuno vi deve niente, siete voi che perseguite i vostri scopi, siete voi il responsabile del vostro successo e della vostra felicità. Il risentimento non fa parte di questo schema e per questo costituisce un ‘meccanismo per il fallimento’.

Senso di vuoto.
Forse avete pensato a qualcuno che ‘ha avuto successo’ nonostante le delusioni, l’aggressività mal riposta, il risentimento e così via, ma non siatene troppo sicuri. Molte persone acquistano i segni esteriori del successo, ma quando aprono lo scrigno del tesoro tanto a lungo agognato, lo trovano vuoto. E’ come se il denaro che si sono sforzati così strenuamente di possedere diventasse falso nelle loro mani. Essi hanno perso la capacità di gioire lungo la strada, e una volta persa nessuna immensa ricchezza può dare il successo o la felicità. Essi hanno ottenuto il frutto del successo, ma quando lo assaporano è senza gusto. Una persona che. ha ancora viva in sé la capacità di gioire gode delle molte ordinarie e semplici cose della vita, gode anche di qualsiasi successo che abbia raggiunto. L’individuo in cui la capacità di gioire non esiste più non è soddisfatto di niente, perché non vale la pena di raggiungere alcuno scopo, la vita è una noia terribile, niente merita niente. Potete vedere queste persone mentre si trascinano da una vacanza all’altra cercando di convincersi che ne provano gusto. Vanno da un posto all’altro impegnati in un mulinello di attività sperando di trovare una gioia e trovando sempre un guscio vuoto. La verità è che la gioia è compagna di un’azione creativa, di una lotta creativa verso la purezza. E’ possibile ottenere un ‘successo’ fatuo, ma allora lo scotto è una gioia altrettanto fatua.

La vita diventa degna di essere vissuta quando avete degli scopi degni di essere raggiunti.

Il senso di vuoto è un sintomo del fatto che non vivete creativamente. O non avete uno scopo che sia importante per voi, o non fate uso di tutta la vostra capacità e della vostra forza nella lotta per raggiungere uno scopo degno. La persona che non ha una mèta conclude pessimisticamente: « La vita non ha scopo ». La persona che non ha uno scopo per cui valga la pena combattere conclude: « Non vale la pena vivere ». La persona che non ha un servizio importante da fare si lamenta: « Non c’è niente da fare». L’individuo che è attivamente impegnato nel perseguimento della realizzazione spirituale, non arriva mai a filosofie pessimistiche riguardo alla vacuità e futilità della vita.

Il senso di vuoto non è un ‘modo per vincere.

Il meccanismo per il fallimento si perpetua a meno che noi non interveniamo interrompendo il circolo vizioso. Una volta provato, il senso di vuoto può diventare un ‘modo’ di evitare qualsiasi sforzo, e ogni lavoro e responsabilità; diventa una scusa o una giustificazione per una vita non costruttiva. Se tutto è vanità, se non c’è nulla di nuovo sotto il sole, se non si può trovar gioia in niente, perché disturbarsi? Perché tentare? Se la vita è solo lavoro monotono, se lavoriamo otto ore al giorno per avere una casa in cui dormire altre otto ore, in modo da riposarci per essere pronti ad un’al tra giornata di lavoro, perché eccitarsene? Tutte queste ‘ragioni’ intellettuali, tuttavia, svaniscono, e noi proviamo gioia e soddisfazione quando interrompiamo la monotonia, smettiamo di girare sempre in cerchio e scegliamo uno scopo per cui valga la pena lottare e che sia degno di essere raggiunto. Il senso di vuoto si accompagna sempre ad una inadeguata immagine dell’io. Il senso di vuoto può anche essere il sintomo di una inadeguata immagine dell’io. E’ impossibile accettare psicologicamente qualcosa che sentite che non vi appartiene, che non è coerente con il vostro io. La persona che ha un’immagine indegna e immeritevole di se stessa può tenere queste tendenze negative sotto controllo abbastanza a lungo per raggiungere un successo genuino, e poi essere incapace di accettarlo psicologicamente e di gioirne. Egli può anche sentirsi colpevole per questo, proprio come se lo avesse rubato. Un simile individuo può anche essere spronato dalla sua negativa immagine dell’io ad acquisire successo per mezzo del ben noto principio dell’auto-compensazione. Io, tuttavia, non sono del parere che si possa essere orgogliosi del proprio complesso di inferiorità o che si possa esserne grati poiché talvolta esso porta a quelli che sono solo i simboli esteriori del successo. Quando il ‘successo’ finalmente arriva, questa persona avverte un ben leggero senso di soddisfazione e di compimento. Essa è incapace nella sua mente ‘di attribuirsene il merito’. Per il mondo è un uomo di successo, ma egli si sente ancora inferiore come se fosse un ladro che ha rubato i ‘segni esteriori di una condizione sociale’, a cui aveva dato tanta importanza. « Se i miei amici e i miei sapessero che razza di impostore io sono! ‘, egli dirà. Questa reazione è tanto comune che gli psichiatri l’hanno de nominata la ‘sindrome del successo’ e cioè l’uomo che si sente colpevole, insicuro e ansioso quando si accorge di aver ‘avuto successo’. Per questa ragione il termine ‘successo’ è divenuto una cattiva parola. Il vero successo non danneggia nessuno. Lottare per degli scopi che sono importanti per voi non come simboli di una condizione, ma come realizzazione di profondi e intimi desideri, è salutare. Lottare per un vero successo, per il vostro successo, attraverso un perfezionamento creativo, produce una profondissima soddisfazione. Lottare per un successo fittizio per compiacere gli altri, produce una soddisfazione anch’essa fittizia. La frustrazione è un sentimento scolvolgente che nasce quando uno scopo di grande importanza si dimostra irrealizzabile, o allorché un grande desiderio viene ostacolato. Nella vita tutti noi dobbiamo necessariamente sopportare delusioni e umiliazioni proprio perché la nostra natura è umana, quindi imperfetta e incompleta. Crescendo e acquistando maturità dobbiamo imparare che non tutti i desideri possono essere immediatamente soddisfatti e che le nostre azioni non sempre possono rivelarsi buone come le intenzioni. Dobbiamo inoltre imparare ad accettare come dato di fatto che la perfezione non è necessaria e che ci si può accontentare dell’approssimazione per tutti quelli che sono i fini pratici. Impariamo anche a sopportare qualche delusione senza esserne sconvolti. Solo quando dà origine a sentimenti ed emozioni esagerate di insoddisfazione e delusione profonde, una esperienza deludente diviene simbolo di fallimento. Un senso di delusione cronico dimostra di solito che i fini che ci siamo prefissi sono irrealizzabili o che la nostra immagine dell’io non è esatta o, infine, l’una e l’altra cosa. Dunque dovremmo lavorare sulla maggiore cura e definizione dei fini pratici per meglio raggiungere quelli perfezionistici. La perfezione è conseguita non dai perfezionisti, bensì da coloro che praticano con fiducia e determinazione.

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